La scienza può provare l’esistenza di Dio?

La domanda su cosa o Chi possa aver dato origine al mondo nel quale abbiamo aperto gli occhi, ha accompagnato il genere umano fin dai suoi albori. E continua ad accompagnarlo. Non potrebbe essere altrimenti. Appena il volume della musica scende e facciamo un po’ di silenzio, questo interrogativo emerge fino a coinvolgere un vocabolo che ogni lingua possiede e che noi indichiamo con il termine dio. Un nome comune, non un nome personale.

Se accanto al vocabolo Dio (qui con maiuscola) poniamo un termine di grande influenza mediatica, oltre che oggettiva, come il termine scienza, l’interesse cresce enormemente. E crescerà ancora di più se ci chiedessimo se la scienza, dell’esistenza di Dio, potrebbe fornirci qualche prova

Non sorprende allora – lo mostra facilmente una ricerca in rete – che la domanda se “la scienza possa provare l’esistenza di Dio” continui a riscuotere un notevole successo, anche in un clima culturale piuttosto restio alle grandi questioni filosofiche. A questa domanda occorre però rispondere in modo attento: sia perché abbiamo a che fare con parole che possono acquistare significati diversi, sia perché, a seconda del modo in cui “componiamo” questi significati, potremmo dirigerci verso conclusioni perfino contrastanti.

Cominciamo dal rapporto fra il termine “Dio” e il termine “prova”. I due termini sono fortemente correlativi. Infatti, il genere di prove prescelte condiziona quale “immagine di Dio” io possa mostrare, provare o negare. Con il tatto dimostro l’esistenza di un corpo rigido, con un ricevitore di onde elettromagnetiche l’esistenza di un segnale che non tocco e che non vedo, con i miei sentimenti posso provare l’amore per qualcuno. Ci sono prove scientifiche, che hanno sempre a che fare con entità misurabili in modo quantitativo, ma anche prove filosofiche che possono ragionare su entità spesso immateriali. Ci sono, infine, anche prove esistenziali, che motivano e giustificano i nostri comportamenti verso gli altri, verso la vita, verso le questioni di senso, spesso non riconducibili né a misure empiriche, né a ragionamenti filosofici in senso stretto. Il termine dio, qui ancora inteso come nome comune, può assumere solo significati compatibili con le prove o le argomentazioni dimostrative che intendiamo mettere in campo. È questo il motivo per cui la storia del pensiero umano ci ha posto di fronte al dio musicista di Pitagora, al Motore immobile di Aristotele, al dio architetto od orologiaio del deismo settecentesco, al dio Codice cosmico del neo-deismo contemporaneo (gli esempi si potrebbero moltiplicare).

Ma anche il termine “scienza”, come i precedenti, possiede le sue peculiarità… Possiamo riferirci alla scienza indicando, in modo rigoroso, solo ciò che è oggetto del metodo scientifico (ed è ciò che fa la quasi totalità degli scienziati), oppure indicare l’attività umana di chi “fa scienza”, che include anche intuizioni, passioni intellettuali, senso estetico, motivazioni e curiosità. Come esseri umani, gli scienziati si interrogano anche su ciò che trascende i numeri, le formule, le quantità. Senza tutte queste dimensioni “umane”, la scienza non potrebbe funzionare. Non sono pochi i grandi scienziati che indicano il termine “scienza” in senso ampio, includendovi anche queste dimensioni dell’attività scientifica.

Se non chiariamo bene il significato che attribuiamo ai termini in gioco è facile generare incomprensioni, malintesi, dialettiche sterili. I medievali lo sapevano bene: nelle lezioni universitarie, prima di dare avvio alla Quaestio, con i suoi argomenti a favore e in contrario, si procedeva alla Explicatio terminorum (qualcosa del genere è rimasto nei nostri manuali di logica e di geometria, ove introduciamo prima di tutto, delle definizioni).

don Giuseppe TANZELLA-NITTI, direttore Centro di Ricerca DISF
testo tratto dal sito di riferimento www.disf.org

(1.continua)

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