Il sociologo David Le Breton, parla credo molto correttamente della nostra relazione con il mondo, in termini di immersione sensoriale. La pensa come qualcosa che precede e fonda ogni conoscenza astratta, che alla fine è trasfusa in numeri, immagini e parole. In questa luce possiamo subito afferrare, anche se grossolanamente, quella concatenazione che ci mette in relazione al mondo in termini di realtà, sensi, pensiero, intelligenza che per tale motivo non è semplicemente ridotta a calcolo e ripetizione, poiché ad esempio esiste una parte emotiva da non sottovalutare. Tuttavia tutto il percorso si amalgama – non trovo termine migliore – in numeri, parole ed immagini.
Giustificare tutta la realtà solamente attraverso questi tre elementi (numeri parole e immagini) non è sufficiente per spiegare la nostra vita e neppure la nostra relazione con il mondo. In altre parole ci sfugge un’eccedenza che abita sia nel mondo che in noi, a cui non possiamo non fare riferimento. Per esempio responsabilità, libertà, valori e tanto altro ancora non sono inclusi in una lettura solamente numerica e per immagini della realtà.
Credo sia questo uno snodo fondamentale per comprendere il valore e il limite dell’IA. Una ripresentazione astratta dell’esistenza (nostra e del mondo) non soddisfa per diversi motivi. Anzitutto perché, per dirla con Alfred Korzybski: “la mappa non è (mai) il territorio”, e numeri, immagini e parole, ci danno la possibilità di navigare a vista e predire molto, ma senza afferrare l’interezza del rapporto io-mondo. Sapere esattamente cosa si trovi in quel determinato territorio, cosa si realizzi quando noi entriamo in rapporto con esso, esige che si cammini a piedi sul territorio, che si assapori mediante i sensi quel lembo di terra e le relazioni che si instaurano su di essa. La categoria più adeguata, da questo punto di vista sarebbe piuttosto quella di ‘esperienza del territorio’ che, ci amalgama con esso in modo irripetibile, poiché sia noi che il mondo mutiamo nell’atto di metterci in relazione. Il sapore del mondo (e di noi stessi) non lo si raggiunge pensandolo ma vivendolo in prima persona.
In questa luce la distinzione tra noi e le cosiddette macchini intelligenti, ci rivela un punto inaspettato di novità. Gli artefatti tecnologici ‘animati’ da intelligenza artificiale, ci offrono un sapere che guarda essenzialmente al visibile, alla mappa, e dunque non al territorio ed ha un diverso approccio con IA realtà con cui si interfaccia. Questi artefatti lavorano su mappe costruiti su regole e dati che noi umani distilliamo dalla realtà. Ma sono appunto logiche, dati e informazioni, che sono ormai distaccati dalla realtà e pertanto vivono solo per un certo tempo di vita propria, mentre la realtà da cui sono tratti muta continuamente. Numeri, statistiche, comparazioni, correlazioni, assolutamente precise, lavorano sul piano della logica necessaria, del simbolico e del sub-simbolico, ma non hanno nulla a che fare con quella nostra esperienza continuativa e sorgiva con cui viviamo nel mondo. Per usare un’immagine. le macchine, gli artefatti tecnologici intelligenti, come si dice dalle nostre parti, arrivano come ospiti ‘a tavola apparecchiata’. Si nutrono di tutto ciò che arriva sulla tavola ma non hanno la capacità di reperire interamente e per lungo tempo il cibo che vi sta sopra. Sia i numeri che le parole che le immagini, anche se in modo differente, sono incapaci di restituirci quel sapore del mondo in cui siamo immersi.
Sul versante dell’esistenza poi, la distinzione tra macchine intelligenti e umani, va indagata anche da un altro punto di vista: quello della relazione con l’habitat in cui macchine e umani sono collocati. Qui emerge un’altra traccia anzi una vera e propria discriminate ermeneutica. Noi siamo differenti perché l’algoritmo che ‘anima’ e determina l’agire (se così possiamo dire) di queste macchine intelligenti, è rigido e si impone a tutto ciò che gli sta intorno, addirittura chiedendo di modificarsi in suo favore. Come un bambino capriccioso che vuole restare sempre al centro dell’attenzione e non vuole cedere le sue prerogative di egemonia.
Per esempio, dalle nostre parti, in agricoltura, l’assunzione di macchine scuotitrici per la raccolta di olive programmate e guidate da processi di IA, impongono alle piante una crescita in altezza rispondente a standard determinati, un sesto calibrato e un determinato tipo di potatura e tanti altri piccoli accorgimenti. Ora per la prima volta, si chiede alla natura di modificarsi perché la macchina possa agire in modo corretto.
(1.continua)
Don Domenico Concolino, UMG Catanzaro