Ad oggi è molto diffusa la consapevolezza che tramite le foto scattate dai nostri cellulari sia possibile risalire
ad un alto numero di informazioni personali e che ogni giorno condividendo la nostra vita, la rendiamo
pubblica e accessibile. Con l’avvento della rivoluzione tecnologica l’individuazione delle informazioni a
partire dalle foto non è più limitata, come accadeva un tempo. Infatti, quelle difficoltà derivanti dalle
capacità umane di riconoscimento vengono sostanzialmente annullate grazie all’intervento di dispositivi
elettronici che, basandosi su degli algoritmi, hanno la possibilità di incrociare un numero elevatissimo di
dati. Strumenti come l’API Vision sfruttano le potenzialità dell’AI per riconoscere oggetti e volti, fino ad
indentificare addirittura lo stato emotivo della persona rappresentata. Inoltre, sebbene possa sembrare
fantascientifico, grazie all’osservazione delle condizioni atmosferiche come il posizionamento delle nuvole o
le precipitazioni, è possibile risalire anche all’esatto momento in cui la foto è stata scattata.
Tutte le informazioni raccolte, utilizzate per attività legate alla sicurezza, possono essere ricavate con facilità da parte delle forze dell’ordine non solo tramite gli strumenti ufficiali, ma anche attraverso applicazioni
lanciate recentemente e che spesso bypassano le normative in vigore, come Clearview AI. Questa app,
molto utilizzata sul suolo statunitense, ha permesso l’identificazione di alcune persone tramite foto caricate
su internet o ricavate dalle telecamere di sorveglianza. E’ da tenere in considerazione però il bias di questi
sistemi, che cinque volte su dieci faticano a distinguere, ad esempio, i cittadini con la pelle più scura e
potrebbero, dunque, commettere gravi errori.
Il grande dibattito sull’utilizzo di questi sistemi riguarda quindi il limite – non ancora imposto – al loro utilizzo.
Quale sarà la discriminante per finire nei database delle forze dell’ordine?
Cosa impedirà l’acquisizione dei dati biometrici e delle immagini provenienti dai
nostri cellulari? All’inizio dell’anno corrente è infatti emersa un’altra problematica connessa al
riconoscimento facciale: la volontà di alcuni Paesi di identificare la popolazione in massa. Sembra, infatti,
che la Cina stia sfruttando l’AI per la mappatura delle minoranze etniche presenti sul territorio, sfruttando
l’alibi della sicurezza nazionale. E’ stato segnalato, inoltre, che in numerose democrazie liberali in cui
vengono diffusi dispositivi prodotti in Cina non vi è la volontà di adottare misure adeguate al monitoraggio
di attività illecite come l’acquisizione dei dati personali. Le speranze vengono riposte nell’Unione Europea,
che a seguito della pubblicazione delle linee guida sull’Intelligenza Artificiale Affidabile, sembra volersi
porre come soggetto a difesa degli utenti che, spesso ignari, vengono sfruttati dai sistemi dei quali vogliono
servirsi.
Jasmine MILONE