Così come abbiamo sviluppato una coscienza critica su altre forme di inquinamento, è importante averne una anche su quello luminoso che minaccia non solo i cieli stellati, ma anche i nostri ritmi biologici. La transizione digitale ci offre strumenti nuovi che possono aiutarci a spegnere le luci inutili: usiamoli.
Sono circa quattro mila gli oggetti celesti visibili a occhio nudo. Però dal deserto di Atacama in Cile. Dal mio balcone a Torino sono una manciata, così come lungo le coste della penisola, nelle città, ma anche nei paesini.
Per rivedere le stelle devo fare qualche chilometro in auto e poi altrettanti a piedi, per i monti, con i miei scout. Abbiamo rubato il fuoco agli dèi, ma ci siamo dimenticati che Prometeo lo ha fatto perché quel cielo lo interrogava, lo spingeva ad andare oltre.
Più volte abbiamo appuntato su questa nostra agenda digitale appuntamenti con la storia: uno di questi appuntamenti con le tecnologie emergenti riguarda il cielo. Infatti, il progresso non è automaticamente sviluppo e per mettere l’uomo al centro dobbiamo aver ben presente come si traguarda un centro e chi l’essere umano sia nel profondo.
Il Cielo nelle Scritture
E il cielo ci riguarda da vicino proprio in questi temi. La Scrittura ha sul tema pagine tanto liriche quanto vere e sono quelle che Paolo VI consegnò agli astronauti dell’Apollo 13. È il salmo 8 che vale la pena rileggere in parte insieme: “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure, l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra”.
Affinché l’essere umano sia davvero e pienamente sé stesso deve mantenere quell’umiltà che gli permette di essere generativo: come è la terra, l’humus che è la radice semantica di umiltà. In questa prospettiva il lenzuolo di stelle che ci sovrasta non è decorativo, ma è strumento di ispirazione e di senso, rimanda al molto già fatto ed al moltissimo che ancora è da fare.
La vera innovazione, la storia lo racconta, non nasce nei laboratori, nasce quando l’essere umano esercita con pienezza la sua innata capacità di andare oltre, di trascendere e non semplicemente correlare, di immaginare e non solo contare una serie data per quanto immensa. Non è poetica o semiotica, è storia, semplicemente storia. Poi viene il laboratorio, essenziale, decisivo. Ma mai sufficiente. Per andare oltre abbiamo bisogno di ispirazione, di motori di senso che non possono essere semplicemente i bilanci o gli encomi accademici. Per l’oltre ci vanno spazi che siano Oltre.
Di qui il firmamento, le stelle. Quei puntini che mano a mano si palesano alle nostre pupille bucando il nero del cielo e – fotone dopo fotone – ci parlano di altri mondi, di altre storie, ancora da scoprire, comprendere, abbracciare. Sempre Paolo VI lo ricordò la domenica successiva allo sbarco, il 13 luglio del 1969 dicendo: “L’uomo, questa creatura di Dio, ancora più della luna misteriosa, al centro di questa impresa, ci si rivela. Ci si rivela gigante. Ci si rivela divino, non in sé, ma nel suo principio e nel suo destino. Onore all’uomo, onore alla sua dignità, al suo spirito, alla sua vita”.
L’inquinamento luminoso
Come dunque rendere giustizia a Leopardi, Dante, Pascoli anche nelle nostre città e paesi e non solo in quota? L’inquinamento luminoso è uno dei tanti compromessi che la modernità ci ha costretti a fare: sicurezza, sviluppo culturale, turistico e ritmi sociali che girano su tutto l’orologio. Così come abbiamo sviluppato una coscienza critica su altre forme di inquinamento, è importante averne una anche su quello luminoso che minaccia non solo i cieli stellati, ma anche i nostri ritmi biologici. Da questo punto di vista la transizione digitale ci offre strumenti tecnici nuovi che possono aiutarci a spegnere le luci inutili, ad orientare quelle che grossolanamente sparacchiamo a destra ed a manca calibrando costi e benefici con maggiore attenzione e cura. Viviamo un tempo di incertezze radicali ed è illusorio pensare che siano gli algoritmi e fornircene di nuove. È vero invece che fioche luci del cielo notturno ci restituiscono il valore inestimabile di questo piccolo mondo che abitiamo, di coloro che ci abitano accanto, delle sfide che ognuna di quelle luci di fatto rappresenta.
La rivoluzione digitale ci ha regalato una nuova consapevolezza: non esiste un modo tecnico dato, ma un mondo tecnico in divenire di cui ognuno è parte non sostituibile. Nel digitale non esiste la massa, esiste il singolo con le proprie scelte e decisioni, ognuna delle quali nelle connessioni che ci legano al corpus sociale, ha ripercussioni importanti. Dal sensore nelle scale di un condominio ai pali della luce stradale, passando anche semplicemente a luci che tendono al rosso e che ugualmente danno determinate garanzie, ma non chiudono le nostre pupille, molto si può fare ed ancora di più sarà fatto costituendo insieme una cultura condivisa ed attenta su questi temi.
Edgard Morin ci ha insegnato (Il metodo.1. La natura della natura, Milano 2001) che la macchina può battere i viventi seconda la quantità, ma il vivente, rispetto all’ artificiale, ha proprietà rigenerativa nonché riparativa: anche la macchina più perfetta, posta in condizioni sfavorevoli non programmate, non è in grado di ripararsi: una macchina rotta è un semplice ammasso di materiale. La macchina non riparerà il mondo, ma noi sì. Usando meglio le macchine. Abbiamo 4.000 motivi per lavorarci, 40.000 se ci regaliamo un piccolo telescopio. Sono molti di più dei sogni che abitualmente facciamo ad occhi aperti.
Qui il post originale