«Siamo macchine anche noi o siamo esseri che vanno oltre l’aspetto della macchina? Se invece siamo esseri coscienti e la coscienza non è un fenomeno algoritmico, allora è un altro discorso. È tutta qui l’essenza del mio ultimo libro e del lavoro che ho condotto negli ultimi 33 anni». Federico Faggin, fisico e imprenditore, è un pioniere nel campo dell’innovazione tecnologica. Sono sue le invenzioni del microprocessore e del touchscreen, due tecnologie a tal punto rivoluzionarie che lo stesso Bill Gates una volta ha detto: “Prima di Faggin, la Silicon valley era semplicemente valley”. Tra i precursori dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale e delle sue applicazioni, autore di diversi saggi, tra cui “Silicio” e il più recente “Irriducibile”, entrambi pubblicati da Mondadori, il fisico lunedì 12 giugno, davanti a un pubblico di accademici, studenti e appassionati della materia, ha esposto con chiarezza e lucidità le conclusioni cui la sua attività di indagine l’ha portato. «Faggin pone in termini nuovi e radicali il problema della coscienza», ha detto il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, introducendo il dibattito “La coscienza oltre l’artificiale”, moderato da Barbara Boschetti, ordinario di Diritto amministrativo nella Facoltà di Scienze politiche e sociali.
Una conversazione a più voci, nel corso della quale lo scienziato di origini vicentine, rispondendo, da una parte, alle domande di un’economista, la preside della Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative Elena Beccalli, e, dall’altra, ai quesiti di un teologo, don Luca Peyron, membro del consiglio scientifico di Humane Technology Lab, ha spiegato perché dalla sua prospettiva scientifica la fisica classica non è in grado di afferrare quel libero arbitrio che, oltre a dare senso alla coscienza, costituisce la conditio sine qua non per distinguere gli esseri umani dai robot.
Ma è proprio l’interazione o, meglio, integrazione macchina/uomo a suscitare una prima, rilevante questione. Si tratta dell’attribuzione dell’«accountability». A sollevarla la preside Beccalli che, partendo da un esempio sull’utilizzo dell’Intelligenza artificiale in ambito finanziario per la gestione del portafoglio, ha chiesto: «Se la performance è negativa o ancor peggio le scelte di investimento violano principi etici, di chi è la responsabilità? Perché non si può togliere l’uomo dal “loop decisionale”?».
Secondo Faggin «la finanza è un derivato di qualcosa di più profondo». Il fatto è che «la scienza ci dice che siamo macchine» e anche «la biologia studia le cellule viventi come se fossero sistemi biochimici, che invece non sono». Difatti, «la vita è un sistema quantistico e classico» che non si può descrivere neppure con la fisica quantistica la quale, a differenza di quella classica e deterministica, che a partire da uno stato iniziale ne spiega tutti quelli successivi, stipula che «c’è l’irriducibilità delle variabili, che non si possono conoscere con precisione necessaria». Che cos’è allora la coscienza? «È la capacità che abbiamo di conoscere da dentro, attraverso sensazioni e sentimenti».
C’è però un nodo «antropologicamente decisivo» che va sciolto. Ed è quello che chiama in causa il «discorso dell’alterità», come ha giustamente obiettato don Luca Peyron. Qual è la relazione con l’altro da me? «Per conoscere se stessi dobbiamo necessariamente aprirci all’altro», ha risposto Faggin. «Alla base di tutto c’è sempre l’informazione che non si riferisce a un’esperienza bensì all’interiorità. La realtà di fatto è una coevoluzione dell’aspetto esperienziale interiore conoscibile solo attraverso i simboli con cui gli enti coscienti comunicano tra loro». Per questo «la vera spiritualità è conoscere da dentro attraverso esperienze straordinarie che tutti noi facciamo». Un tipo di interiorità che però la mente scientifica ha finito per cancellare. «La scienza descrive la realtà come se fosse solo razionalità» e in questo modo ha eliminato il «cuore e la pancia da cui dipende l’azione coraggiosa». Per questo, ha avvertito Faggin, è fondamentale riconoscere che «siamo in una realtà che non è separata e disconnessa», in cui tutti «siamo parti di un intero, un “Uno” che possiamo conoscere». Una conoscenza di tipo transdisciplinare grazie alla quale è possibile affrontare le tre pericolosissime direttive da cui siamo inseguiti: le armi nucleari, il climate change e l’Intelligenza artificiale. E, nello stesso tempo, può fornire una scappatoia alla condizione di capitalismo di sorveglianza, neofeudalesimo e sudditanza culturale in cui la società è immersa. «La vita è oggi guidata dalla competizione più che dalla cooperazione» e ci avvieremo verso l’auto-distruzione «se non abbondoniamo la concezione di essere macchine, mosse dal solo principio della sopravvivenza del più adatto e del più forte».
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