Negli ultimi anni, sempre più scienziati di diverse discipline stanno unendo le proprie forze per affrontare la madre di tutte le sfide scientifiche: la comprensione della mente umana.
Questo sforzo conoscitivo senza precedenti è alla base del boom dell’Intelligenza Artificiale, grazie alla quale supercomputer di IBM e Google hanno battuto campioni di giochi di strategia e grazie alla quale i nostri computer e telefoni sono dotati di software sempre più intelligenti. Nonostante questi incredibili progressi, la capacità del cervello umano di processare informazioni a bassissimo consumo rimane inarrivabile per gli attuali approcci computazionali (il consumo del supercomputer Watson di IBM è circa un milione di volte maggiore di quello del nostro cervello).
Un team del Politecnico di Torino coordinato da Carlo Ricciardi – docente del Dipartimento di Scienze Applicate e Tecnologia-DISAT – insieme a Daniele Ielmini del Politecnico di Milano e a Gianluca Milano dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica-INRiM in un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Materials propongono un approccio hardware, partendo dall’evidenza che anche le più complesse funzioni del cervello, come memoria e apprendimento sono espressione di un comportamento collettivo di connessioni e unità di processo che hanno una natura fisica e materiale. I dispositivi messi a punto da Ricciardi, Ielmini e Milano si basano su reti di nanofili memresistivi, cioè architetture su scala nanometrica (la stessa delle sinapsi biologiche) che mostrano le tipiche funzioni neurali come adattabilità, plasticità e correlazione spaziotemporale.
“Abbiamo mostrato che è possibile implementare ‘in materia’ – spiega Carlo Ricciardi – la dinamica dei processi cognitivi che da un lato sfruttano la memoria operativa a breve termine per richiamare e confrontare immagini, idee e simboli, mentre dall’altro classificano i risultati in variazioni strutturali delle nostre connessioni. Inoltre, tali dispositivi possono implementare paradigmi computazionali che necessitano di un addestramento limitato come il reservoir computing, aprendo la strada non solo a computer sempre più intelligenti e a basso consumo, ma anche a protesi neurali impiantabili, che un domani potrebbero consentire il recupero o il contenimento di funzioni neurali in regressione.”