L’avvento dell’età digitale ha trasformato alla radice il nostro rapporto con il lavoro, non soltanto riplasmando la struttura della produzione attraverso nuovi strumenti, ma dando vita a un rapporto tra umani e macchine che si svolge sulla frontiera tra collaborazione e competizione. Cambiano, anzi si erodono, i rapporti di solidarietà tra i lavoratori, che spesso si trovano ai lati opposti di grandi spartiacque: tra chi ha un lavoro remotizzabile e chi no, tra chi svolge una professione che nell’immediato futuro non può essere automatizzata (e quindi non è insidiabile o sostituibile dalle macchine) e chi invece dovrà fare reskilling e upskilling, cioè tornare tra i banchi di scuola per imparare un nuovo lavoro o un nuovo modo di lavorare, perché tra qualche anno quello che conosceva sarà irrimediabilmente obsoleto.
È necessario allora pensare alle sfide che l’innovazione ci pone da una prospettiva solidaristica, per far sì che di fronte a un mercato del lavoro in rapida trasformazione non si disgreghi del tutto la consapevolezza di far parte di un progetto comune di democrazia: quello consacrato dall’art. 1 della nostra Costituzione. È necessario ripartire dalla nostra capacità di governare il progresso e l’evoluzione tecnologica, e da quella capacità di costruire nuovi strumenti orientati a finalità più ampie dell’interesse individuale che caratterizza l’umano.
Un esempio della tragica confusione tra lo sviluppo di un senso critico profondo nell’uso degli strumenti digitali e un nozionismo fine a sé stesso è l’approccio di alcuni organi apicali della nostra pubblica amministrazione. In particolare, chi scrive si è imbattuto in una carta delle competenze con relativo strumento di autovalutazione molto concentrati sull’utilizzo spicciolo delle tecnologie più che sulla costruzione di una consapevolezza. Sarebbe invece auspicabile che il nuovo portale per l’autovalutazione delle competenze digitali dei dipendenti pubblici, fiore all’occhiello del ministro Brunetta, non si limitasse, tanto per fare un esempio, a indicare come servizi che offrono «spazio per memorizzare file online» esclusivamente prodotti proprietari e per giunta extra-EU, ma puntasse invece allo sviluppo di un approccio critico, sensibile ai profili di data protection, sicurezza, controllo di processo e qualità dell’azione amministrativa che passa anche attraverso l’utilizzo corretto degli strumenti digitali.
Come del resto ha chiarito anche il Documento finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, in un paragrafo citato anche nell’Enciclica Fratelli tutti, esiste un “lato oscuro” dell’età digitale, cioè l’operare di forze mosse da immensi interessi economici a cui ci si può accostare da individui liberi, senza soccombere, soltanto se muniti di consapevolezza, da costruire anche con fatica se necessario ma rifuggendo dalla tentazione di lasciarsi “addestrare” dalla tecnologia. Non va ignorato infatti che «operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio».
Non dimentichiamo che è la tecnologia ad essere al servizio delle persone, mai il contrario.
Roberto REALE, Innovation Manager