La rivista Cyberpsychology, Behavior and Social Networking ha di recente pubblicato uno studio coordinato dall’Università di Bath relativo al rapporto tra benessere ed abuso dei social media su un campione di 140 volontari di età compresa tra i 18 e i 72 anni. Per una settimana i volontari hanno rinunciato ai social network, spegnendo i propri smartphone o installando blocchi a siti ed applicazioni. Al termine della settimana i partecipanti sono stati sottoposti a tre test volti a misurare lo stato di ansia, di depressione e di benessere.
Il confronto tra i risultati del gruppo di controllo ed i test somministrati ai partecipanti ad inizio della settimana e al termine della stessa ha rilevato miglioramenti su tutti e tre gli aspetti analizzati. I risultati sembrano essere inequivocabili, ma è lo stesso studio a sottolineare alcune criticità: il campione preso in esame era composto prevalentemente da giovani donne bianche mediamente istruite, disposte a prendere parte all’esperimento ed era estremamente limitato, solo 74 persone hanno dovuto rinunciare ai social media.
La stessa durata della rinuncia, breve e limitata nel tempo, ed il periodo di pandemia potrebbero aver influenzato i risultati. Lo studio parte però da basi solide: l’uso dei social media stimola la produzione di serotonina e dopamina, ormoni legati al controllo dell’umore, provocando piacere e gratificazione durante l’uso. I social media possono manipolare questi stimoli per indurre l’utente a svolgere azioni quali: cliccare su un nuovo video, pubblicare un aggiornamento, comprare un prodotto. È possibile ottenere un’utenza fidelizzata e pronta a rispondere ai diversi stimoli e contenuti proposti, creando contemporaneamente un bisogno da soddisfare.
Questi meccanismi e la pervasività sempre superiore di apparecchi entrati nella quotidianità di un’utenza sempre meno preparata e più sensibile, come sottolinea Jeff Lambert, primo autore dello studio, possono diventare fattori di rischio per la salute mentale.
Emanuele DENTIS