Una «Blockchain» per la beneficenza

Quando sento parlare di nuove tecnologie, spesso, una domanda mi sorge spontanea: “Ma è davvero necessaria?”. Non mi considero un passatista, tutt’altro. Sono un sostenitore della domotica, vivo con lo smartphone sempre in mano come la maggior parte dei miei coetanei e sulla mia scrivania si possono trovare più strumenti digitali che analogici. Il dubbio però sorge ugualmente.

Tra le altre, ha suscitato questo mio dubbio una tecnologia di cui sentiamo tanto parlare, spesso in modo confuso: la blockchain. Ho deciso di approfondire questa tecnologia nella mia tesi in Ingegneria Informatica, provando a trovare almeno un’applicazione della blockchain che possa migliorare la situazione dell’essere umano.

Prima di tutto, però, cos’è la blockchain? Online si possono trovare guide e spiegazioni ben più approfondite di quella che sto per dare io, ma per chi non desidera diventare un esperto sull’argomento, spero possa essere sufficiente.

Letteralmente traduciamo blockchain con “catena di blocchi”. E la possiamo davvero immaginare così: una catena di blocchi, dove su ogni blocco sono incise alcune informazioni (la firma di un contratto, il bonifico per il matrimonio della cugina, i diritti della canzone che ho inciso). Ogni blocco è collegato al precedente e al successivo, così da creare una catena (digitale, ricordiamolo) che col tempo si allunga.

Quando una persona desidera partecipare attivamente alla blockchain, deve scaricare una copia di questa catena e da quel momento sarà tra i nodi che potranno dichiarare la veridicità o meno dei dati presenti e potrà candidarsi per la creazione di nuovi blocchi. Se voglio per esempio verificare se è vero che ho firmato un certo contratto, il fatto che almeno il 50%+1 dei partecipanti abbia questa informazione, la rende vera. Per le blockchain più grandi si parla di decine di migliaia di utenti; si intuisce che non è possibile hackerare metà di loro, poiché questo chiederebbe un investimento di tempo e mezzi che supera qualsiasi guadagno. Per questo si ritiene la blockchain quasi intaccabile, di fatto immutabile nel tempo.

Il mio progetto consisteva nello sviluppare un sito web per poter fare delle donazioni tramite blockchain. Se sono automatiche, trasparenti ed immutabili, sono lo strumento adatto: troppo spesso, infatti, abbiamo sentito storie di no-profit che non hanno ricevuto il 100% delle donazioni perché, dalle tasche del donatore alle loro, un po’ del denaro si è volatilizzato. Inoltre, anche il terzo settore sta attraversando un periodo di crisi e questa potrebbe essere una possibilità per diminuire i volontari dediti all’amministrazione e impegnarne di più “sul campo”. Questi i presupposti da cui sono partito.

Assieme allo sviluppo tecnico, ho deciso di affrontare anche di un campo meno tecnico: l’etica della blockchain. Sono rimasto sorpreso dall’interesse crescente tra studiosi dell’informatica e delle nuove tecnologie. Certo non ho trovato gli stessi trattati che avrei potuto trovare interessandomi alla bioetica o alla morale politica, ma il tema è presente e iniziano a delinearsi le prime linee di pensiero.

Il fulcro della mia analisi etica è il bene comune: dare a ciascuno la possibilità di ricevere ciò di cui ha bisogno per una vita dignitosa. Il criterio di discernimento è se l’uso della blockchain aumenta o limita l’espressione della libertà e della creatività dell’essere umano. L’economia e la finanza possono e devono essere al servizio dell’uomo, del suo benessere, della destinazione universale dei beni. Oggigiorno è più facile assistere a uomini o interi Stati asserviti alla finanza piuttosto che alla situazione opposta, ma questo non cambia quello che dovrebbe essere lo scopo di ogni strumento: in quanto tale esso dovrebbe servire l’uomo, non essere servito.

Mentre lavoravo alla tesi mi sono trovato quindi a studiare le tecnologie da usare e il loro potenziale impatto sulla vita delle persone.

 

Giovanni ZAGO, insegnante di religione
(1.continua)

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