Scienza è cultura per un’umanità più sicura e più giusta

Ripubblichiamo parte di un articolo di Giorgio Ceragioli, già apparso sul n. 10 del 1986 di «Progetto» (ora «NP») del Sermig.

Oggi sviluppo vuol dire tecnologia, se si pensa, ovviamente allo sviluppo economico, ma, in parte, anche se si pensa allo sviluppo culturale.

Ho sempre sostenuto, e lo credo tuttora, che il contadino africano, seduto al tramonto sul bordo della sua capanna di rami e fango ai margini della savana, sia in grado di andare alla scoperta delle realtà ultime – perché viviamo, qual è il significato del nostro agire sulla terra, cosa sarà di noi dopo la vita – come e spesso meglio di quanto lo possa fare uno scienziato al chiuso del suo laboratorio o un europeo frastornato da mille cose e impegnato in mille attività.

Ma credo anche che scienza sia cultura; che l’intelligenza e la voglia di conoscere ci siano state date per utilizzarle, per conoscere cose che ci arricchiscono non solo materialmente, e spesso non tanto materialmente, quanto spiritualmente, che ci possono avvicinare di più alla verità e a Dio stesso. Ecco perché oggi la tecnologia è più che mai utile, necessaria, allo sviluppo: perché tutti possano, se lo vogliono, attingere a questa ricchezza dell’umanità che gli strumenti scientifici – fatti con la tecnologia – mettono loro a disposizione, oltreché per costruire basi materiali che potrebbero (se ben utilizzate e se non sommerse dal consumismo o dall’attivismo fine a se stesso) essere condizione utile per una vita spirituale e culturale più serena e approfondita.

E parlare di aiuti contro la fame nel Terzo Mondo senza parlare di lotta per il suo sviluppo, in particolare tecnologico, è volerlo condannare, consciamente o meno fa lo stesso, a un nuovo duro colonialismo tecnologico, culturale, economico e forse anche politico e nazionale.

D’altronde lo sviluppo del Terzo Mondo serve anche a noi e all’umanità intera. Serve anche a noi perché evita che si crei una frattura profonda fra un venti per cento di umanità ricca e un ottanta per cento di umanità povera: ottanta per cento che potrebbe essere condotto dalla disperazione a usare mezzi estremi, ben più gravi dell’attuale terrorismo.

Ma serve all’umanità intera perché mette a disposizione della stessa la maggiore risorsa di cui essa dispone: l’intelligenza umana. Se le persone di questo ottanta per cento del Terzo Mondo prendono in mano la tecnologia del Nord, se diventano protagoniste nel suo uso e non «aiutati» dal Nord, se utilizzano le loro capacità intellettuali per lo sviluppo, allora avremo nuove speranze di evitare un catastrofico confronto fra mondo povero e mondo ricco, avremo a disposizione nuove immense possibilità per cercare di costruire un’umanità nuova più sicura, più serena, più giusta.

Non possiamo pensare di tenere stretto, a nostro solo beneficio o a nostra sola discrezione, il potere della tecnologia, perché saremmo sopraffatti dai bisogni, oltreché perché sarebbe ingiusto. Come farebbe un 5-10% produttivo dell’umanità a garantire adeguati livelli di sviluppo a tutto il rimanente 90-95%. Ricordiamo infatti che anche al Nord ci sono i bambini, gli ammalati, gli anziani, la gente che non ha voglia di lavorare. E non sono certamente le campagne razziste che daranno respiro a questa esigua minoranza di ricchi, che svecchieranno a sufficienza le nostre nazioni, ben più interessate a viversi la propria ricchezza che a far vivere degnamente «uomini colorati».

Lo sviluppo del Sud è necessario ed è necessario che questo sviluppo usi le tecnologie avanzatissime, le più incisive, quelle a maggiore rendimento dalla telematica all’elettronica, alla chimica fine, ecc.

E non si dica che questo è imposizione culturale, nuovo colonialismo culturale e tecnologico. Il non mettere a disposizione del Sud questi strumenti sarebbe nuovo colonialismo, sarebbe teorizzare e attuare nuovi ghetti, nuovi razzismi pericolosissimi.

È vero, vi sono dei pericoli nel trasferire tecnologia, ma questi pericoli ci sono se non si prepara gente locale capace a gestire questa tecnologia; se non si danno mezzi per la ricerca scientifica nel Terzo Mondo; se non si aiutano i tecnici locali a modificare, ad adattare le tecnologie importate, a inventarne di nuove, a lavorare tenendo conto delle culture locali, dei materiali locali, delle risorse locali.

Il pericolo di danni alle culture e alle società esistenti nel Terzo Mondo è evidente e non c’è da nasconderlo, anzi bisogna evidenziarlo: ma evidenziarlo non vuol dire rinunciare a fornire al Sud gli strumenti perché l’oppressione tecnologica, economica, culturale prosegua indefinitamente, rafforzandosi e creando due umanità separate.

Giorgio CERAGIOLI

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