Rivoluzione digitale e domande su Dio e l’uomo

Facciamo un passo avanti: se, quanto più una domanda è veramente filosofica, tanto più è aperta a tante risposte, quali sono le domande filosofiche par excellence?

Ma certo, proprio quelle che dalla Dialettica della ragion pura in poi sono state estromesse dal dominio della filosofia vera e seria: l’anima, il mondo, Dio; e aggiungiamoci pure: il bene – guarda caso, domande portanti del pensiero del Medioevo. Secondo Floridi queste domande sono le più filosofiche proprio perché sono domande ultime: cioè fungono da crocevia di tante altre domande che la ragione umana si continua sempre a porre, e lo sono perché e generano altre domande; perché, aggiungo io, pensare vuol dire cercare la verità, e la verità è di per sé un orizzonte assoluto del pensare. Non potremmo pensare se fossimo davvero convinti di non poter se non sbagliare – e questo, faccio notare, l’ha detto per primo Agostino.

Torniamo a noi e alle tipiche domande filosofiche su Dio: esiste? Che cos’è? Che cosa fa in relazione al mondo e all’uomo? Continuare a chiedere alla nostra ragione di sforzarsi di capire è opera eminentemente filosofica. Ma, proprio per questo, essa è per noi cristiani anche legittimamente teologica: quello che posso pensare e conoscere di Dio, come uomo, è ciò che mi accompagna dentro alla Rivelazione di Dio, anzi è ciò che mi permette di ricevere una Rivelazione. Se io non avessi né potessi avere alcuna idea di Dio, banalmente, neanche potrei capire di che cosa parli la Bibbia.

Allora io mi domando: come la filosofia che si interroga su Dio finisce per toccare la teologia, perché una aggiornata e attenta “filosofia del digitale” non dovrebbe avere punti di contatto con una “teologia del digitale”? Da una parte, perché un Dio che assume su di sé e in sé tutto l’umano dovrebbe non avere niente da dire a quell’aspetto sempre più importante della nostra realtà e della nostra vita che è il mondo digitale?

Dall’altra, perché mai una teologia del digitale dovrebbe costruirsi a prescindere da una filosofia del digitale? E, infine, per tornare all’origine di queste riflessioni, perché una filosofia del digitale non potrebbe trarre anche qualche modello e qualche ispirazione dal pensiero dell’età di mezzo? Intendiamoci: rifare una filosofia di secoli fa, radicata in un mondo che non è più lo stesso, sarebbe assurdo e inutile. Ma non è almeno altrettanto inutile ignorare idee e approcci che, in un pensiero così sostanzialmente appassionato di Dio, di verità, di bene, hanno saputo fondare la civiltà moderna della quale noi siamo figli?

Da laico e non teologo, mi piacerebbe ragionare insieme a qualche teologo sulla rivoluzione digitale; per  esempio, penso che potrebbe aiutarci a capire che nel “post-umano”, il focus non dovrebbe essere prioritariamente centrato sul fatto di essere “post” qualche cosa, ma sull’esigenza che esso resti ancora e comunque “umano”, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, e non le macchine o l’intelligenza artificiale o gli algoritmi. Oppure, che qualche teologo mi spiegasse che cosa significhi e che cosa implichi l’incarnazione, la realtà umana e divina insieme di Cristo, rispetto ai tanti cambiamenti che l’intelligenza artificiale ha portato e porterà nelle nostre vite, nei nostri lavori, nelle nostre relazioni. E, ne sono sicuro, un teologo che facesse questo non potrebbe non trarre parecchie buone idee dalla cristologia e dall’antropologia di tanti autori medievali (non per forza quelle di Tommaso!). O ancora: questa pandemia ci ha ricordato che ci piacerebbe tantissimo essere onnipotenti, ma ahimè, proprio non lo siamo. Ma non potrebbero essere i dieci comandamenti a orientare i nostri pensieri sul limite dell’umano e sulla sua salutare importanza, sull’esigenza di ricordarci che siamo limitati perché siamo creature? Se un teologo avesse voglia di coniugare i dieci comandamenti con gli interrogativi che la rivoluzione digitale, con le sue potenzialità immense e i suoi limiti preoccupanti, ci sta ponendo in questi mesi, ecco, diciamo così: credo davvero che potrebbe fare un viaggio nel quale la filosofia del Medioevo potrebbe essere una sua e nostra buona compagna di avventure.

Amos CORBINI, Università degli Studi di Torino
(Quaestiones Digitales 2. fine)

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