Molti sostengono, osservando con quale dimestichezza i teenager usino i dispositivi digitali, che essi siano più intelligenti delle generazioni precedenti: in realtà, ad essere migliorati sono sopratutto la tecnologia e il design che hanno reso le interfacce più usabili ed intuitive. L’educazione al digitale non è dunque necessaria solo per gli adulti , tanto per difendersene quanto per servirsene, ma anche per i più giovani per accrescere la consapevolezza dei rischi derivanti dall’uso delle piattaforme digitali: fra questi vi sono la privazione relativa, l’effetto “Fomo” e la virtualità delle esperienze che vi si osservano.
La privazione relativa, da cui né i ragazzi né gli adulti possono sentirsi del tutto vaccinati, può nascere dalla continua esposizione a immagini e video che mostrano, senza avvertenze di finzione, momenti di vita e opportunità che possono destare invidia e frustrazione: per ridurne il possibile impatto, da molte parti si richiede agli operatori che gli algoritmi introducano correzioni così da allargare la varietà dei contenuti visualizzati. Instagram ha lanciato lo scorso luglio, in sordina, nuovi strumenti per migliorare e rendere più sicura l’area «Esplora» riducendo o escludendo contenuti espliciti: sarebbe utile che invitasse in modo più efficace a scoprirne l’opportunità e l’utilizzo. In parte fattore di successo dei social media, l’Effetto Fomo (Fear of Missing Out) ne alimenta la frequentazione, ma genera anche una sorta di ansia di essersi persi qualcosa: il commento ad una conversazione innescata o il like ad una foto postata.
Ciò che per ciascuno di noi può essere, appunto, un’ansia, un vizio o un semplice divertimento infatti la base del successo dei social media che da sempre hanno dato la sensazione che le cose accadano e che rischiamo di non esserne partecipi se non li frequentiamo con assiduità. Per questo, ci si deve augurare che la sperimentazione della funzione «Take a break» di Instagram sia di successo nei Paesi pilota e possa essere estesa al più presto anche in Italia insieme a, come promesso, maggiori strumenti di controllo e confronto per i genitori a partire dalla verifica del tempo speso online da parte dei propri figli.
Se i problemi di contrasto ai fenomeni dell’odio in rete, del bullismo e del revenge porn soffrono dei limiti degli algoritmi di comprendere i contenuti non scritti in lingua inglese e la responsabilità di questi atti sta di certo in capo a chi li ha commessi, è però degna di nota la crescente percezione che ciò che ha luogo on line non sia del tutto reale, ma insista in una dimensione virtuale, rafforzata dalla quantità di contenuti deplorevoli o illegali a cui si può essere esposti. Da qui anche il fenomeno della «compassion fatigue» che spinge le organizzazioni del terzo settore a fare leva su messaggi sempre più forti per superare la barriera del suono di un’abitudine al dolore che la rete ha reso ancora più continua e quindi meno capace di scuoterci.
Il digitale, lo comprende soprattutto chi non è nato al suo fianco, offre però anche grandi spazi di libertà e, tanto più guardandosi indietro in questi due anni di pandemia, strumenti per unire le persone e le comunità. Per quanto sia difficile vedere nell’esperienza che abbiamo vissuto un’opportunità – troppo aspri i risvolti umani, economici e sociali vissuti – questo è però il tempo propizio per la responsabilità, anche di un uso consapevole della Rete e di una evangelizzazione che passa per un modo cristiano di viverla: astenersi dal condividere le notizie false, segnalare le affermazioni dettate dall’odio, assumere comportamenti improntati alla sostenibilità sociale ed ambientale del commercio elettronico sono solo alcune delle azioni che possiamo includere nella quotidianità della nostra vita. Il digitale, esattamente come la pandemia, ha un potere trasformativo: la nuova normalità che ci apprestiamo a vivere avrà contorni, sul piano individuale e civile, che richiedono i valori della persona di cui sono portatrici la Chiesa e la comunità dei fedeli.
Andrea Boscaro
Partner The Vortex