«Sogni le stelle/nella boccia dei pesci/rossi finisci». Questo è il primo pensiero profondo annotato da Paloma, una dodicenne geniale, figlia dell’alta borghesia parigina, che decide di farla finita il giorno del suo tredicesimo compleanno, senza tuttavia rinunciare, prima di allora, a mettere alla prova la sua mente. Paloma è il frutto della creatività di Muriel Barbey. Per Paloma tutti tentiamo di percorrere la stessa strada: spremiamo come limoni i nostri studi nella speranza di conseguire una posizione sociale elevata, corriamo e sottostiamo a ritmi esasperanti per mantenerla, e poi tutta la vita a domandarci come mai la nostra esistenza sia così vana. Insomma, crediamo di inseguire le stelle e poi ci ritroviamo come un pesce rosso in una boccia. Non c’è mai spazio né tempo per riflettere.
Se oggi le persone sono portate a pensare solamente il sabato pomeriggio a quel che faranno la domenica, in futuro, quando le macchine lavoreranno al posto nostro, avremo un compito di pensiero intorno a queste stesse tecnologie. Inevitabile; proprio come ora che questo spazio, nella fattispecie la nostra casa, e questo tempo, di cui non calcoliamo ancora con precisione la durata, ci viene (giustamente) imposto. Riecheggia in me il detto beata solitudo, sola beatitudo dei tempi liceali. Allora penso a questo pensiero ineludibile: a che cosa mi serve la solitudine, l’elaborazione di una riflessione su me stessa, se non posso offrirla agli altri, in primis a chi mi è caro, a chi soffre?
C’è una cosa che le tecnologie non potranno mai sostituire: le relazioni. Se riuscissero realmente a farlo, allora non faticherei così tanto a risparmiare chi voglio bene dai miei abbracci, da un respiro condiviso. Se riuscissero realmente a farlo, allora chi sta soffrendo, in ospedale, in una stanza, solo, non mi confiderebbe di sentire la mancanza di un volto umano scoperto, di un sorriso nudo, di un contatto caldo, di un respiro libero. Andrà tutto bene, perché non guariremo mai dal bisogno della relazione. Andrà tutto bene, perché di pesci, nella boccia, cara Paloma, ce ne saranno sempre almeno due.
Elisabetta MIRAGLIO, Studentessa Università degli Studi di Torino