I due termini “catechista digitale” potrebbero condurre a rischiose interpretazioni; per fugarle, è bene chiarire subito che, con questa espressione, non si fa riferimento ad una figura che abbia una nuova configurazione identitaria rispetto ai catechisti che, con encomiabile spirito di servizio, operano nell’azione pastorale delle nostre comunità ecclesiali; piuttosto si vuole intendere una figura disponibile ad adattare, con estrema duttilità, le proprie competenze al “nuovo” soggetto che è chiamato ad educare alla fede. La novità non inficia, quindi, l’identità propria del catechista, quanto i processi formativi che lo interessano in tutte le sue dimensioni. In altre parole, non si tratta di “saper fare” cose sui social, quanto piuttosto di “saper stare” con i soggetti che navigano nell’ambiente digitale. Il catechista digitale è colui che ha piena consapevolezza di trovarsi di fronte ad un soggetto nuovo, il cui profilo antropologico è stato, in qualche maniera, investito e modificato dall’avvento delle nuove tecnologie.
Quali attenzioni bisognerà avere nell’attuale prassi formativa dei catechisti? Anzitutto un’azione formativa che sia di coscientizzazione: «ai catechisti va fatto presente o ricordato che anche loro sono immersi nel mondo delle reti sociali e che queste godono di sempre più ampio consenso, perché coinvolgono le persone nel rispondere ad aspirazioni radicate nel cuore dell’uomo». Questo vuol dire che «i catechisti che vogliono partecipare costruttivamente alla rete di relazioni hanno bisogno di essere aiutati a maturare una identità cristiana chiara e dialogica che non si propone in modo integralista ed escludente, ma sa confrontarsi valorizzando ciò che si può condividere, senza tacere delle differenze comunque esistenti». Non è più concesso ritenere di avere l’egemonia della verità, in un mondo ove molteplici sono le verità che pretendono di proporsi e, talora, imporsi. Tutte le dimensioni della formazione, quindi, dovranno essere sempre più affinate per poter configurare l’identità del catechista chiamato a interloquire con i nativi digitali.
Oltre la dimensione dell’essere, andranno sempre più considerate le dimensioni del sapere e del saper fare e saper essere con. Curare la dimensione del sapere significa comprendere che quanto il catechista ha appreso deve poter diventare annuncio esplicito nel mondo digitale. Per poterlo fare, egli ha necessità di trovare i linguaggi adatti che rendano compatibile l’annuncio del Vangelo con i linguaggi usati dai nativi digitali.
La cura della dimensione del saper fare prevede la formazione pedagogica e metodologica; è qui che si inserisce la «competenza nella comunicazione e nella narrazione della fede come abilità a presentare in modo vitale la storia della salvezza, perché le persone se ne possano sentire parte». Formare alla competenza digitale significa incentivare un approccio non diffidente verso i social media, quanto piuttosto un approccio sanamente critico, capace di discernere le potenzialità e i limiti: «una comprensione corretta dell’ambiente digitale è il prerequisito per una presenza significativa all’interno di esso. Una conoscenza e coscienza dell’utilizzo del mezzo rimangono le uniche strade percorribili. I catechisti dovranno educarsi ed educare alla “saggezza digitale”, cioè ad un uso della strumentazione etico e responsabile».
Infine, ma non meno importante, sarà la cura della dimensione del sapere essere con: «in quanto educatore, il catechista avrà anche la funzione di mediare l’appartenenza alla comunità e di vivere il servizio catechistico con uno stile di comunione». In termini formativi questo significa che andranno sempre più incoraggiate forme di apprendimento cooperativo che valorizzano le competenze e le attitudini di ciascuno, mettendole a disposizione degli altri.
don Filippo CENTRELLA, Diocesi di Nola