Pubblica Amministrazione e Intelligenza Artificiale, un linguaggio condiviso

La Pubblica Amministrazione italiana vorrebbe migliorare i propri servizi e risolvere alcuni suoi annosi problemi anche con l’impiego dell’Intelligenza Artificiale. Per questo, nel 2018 l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) ha rilasciato il Libro Bianco “L’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino”, frutto di alcuni mesi di lavoro di una Task Force [https://www.agid.gov.it/it/argomenti/intelligenza-artificiale]. 

Tre anni dopo la pubblicazione di questo volume, e precisamente nel gennaio scorso, due amministrazioni italiane, la Regione Lombardia e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nello scambiarsi dati riguardanti l’andamento dell’epidemia COVID-19, non riuscivano a comprendersi, e per i conseguenti errori di calcolo, alla Regione veniva attribuito il “codice rosso” e i cittadini lombardi si trovavano a subire restrizioni molto severe.  Da una parte, dunque, la PA pensa ad un futuro di servizi intelligenti, dall’altra continua a scontare la quotidiana inefficienza dei propri processi. Sorge allora la domanda: cosa è possibile fare, in concreto e nel breve termine, per usare l’intelligenza delle tecnologie e migliorare i servizi pubblici?

Vediamo il caso della Regione Lombardia più da vicino. La Regione trasmetteva periodicamente i dati sulle condizioni dei pazienti usando uno schema fornito dall’ISS, ma non specificava la “data di inizio sintomi” e lo “stato clinico” associati ai casi positivi. La compilazione di quei dati non era obbligatoria, ma di fatto la loro assenza alterava i risultati, perché l’ISS ne assegnava comunque i valori secondo un criterio che la Regione ignorava.  In poche parole, ciò che ha tenuto in “codice rosso” i cittadini lombardi all’inizio dell’anno è stato un problema “semantico”, cioè legato all’interpretazione dei dati che le amministrazioni scambiavano, come se esse parlassero lingue diverse.

Questo episodio mostra come qualsiasi idea di un futuro di servizi pubblici intelligenti passi per la soluzione del “problema semantico” dei dati pubblici. Il tema è noto fin dagli anni ’90, quando si iniziò a capire che, nelle amministrazioni, non vi era alcun coordinamento nel modo in cui i dati erano rappresentati e raccolti, rendendo difficile il loro scambio. Nei venti anni successivi, si cercò di affrontare il problema anche ricorrendo a certi standard di rappresentazione della conoscenza presi dall’Intelligenza Artificiale. Si capì che era necessario disporre di modelli concettuali condivisi (detti “ontologie”) ma solo nel piano triennale 2017-2019 l’AgID ha iniziato a sviluppare qualche modello concreto [https://github.com/italia/daf-ontologie-vocabolari-controllati].

Come si può spiegare questo divario tra idee e azioni negli sforzi per innovare la PA? Sicuramente, per quanto riguarda la condivisione di modelli concettuali dei dati, pesa il Titolo V della nostra Costituzione, e cioè il tema del complesso rapporto tra amministrazioni locali e centrali. Chi ha l’autorità per imporre all’altro il proprio schema di rappresentazione dei dati, cioè il proprio linguaggio?

Come si vede, sulla strada per il progresso tecnologico ci troviamo ad affrontare un problema profondamente umano: comprendersi. Non vi sono tecnologie che possano rendere automatico il passaggio di una parola, nel pieno del suo significato, da una mente ad un’altra, o il dato, saturo della sua interpretazione, da un ufficio all’altro. Nella comprensione reciproca c’è sempre un atto di buona volontà, sia di chi parla, sia di chi ascolta. Deve applicarsi un “Principio di Carità”, come diceva il filosofo del linguaggio Donald Davidson (1917-2003). Quello che è mancato, nella storia ormai trentennale dell’informatica pubblica, non sono state le tecnologie, ma la volontà di cooperare per il bene pubblico. Nessuna Intelligenza Artificiale potrà surrogare questa volontà.   

 

Guido VETERE, Università degli Studi Guglielmo Marconi

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