Progresso scientifico e sviluppo sociale per un’umanità più giusta

Ripubblichiamo parte di un articolo di Giorgio Ceragioli, già apparso sul numero di febbraio 1984 del periodico dell’Università della Pace,“UdP Informazioni”

 

L’autogestione era estremamente difficile in una situazione preindustriale, per mancanza di mezzi tecnici che garantissero anche la sola sopravvivenza, e impossibile in una situazione industriale che è, per definizione, accentratrice, delegante, spersonalizzante. L’autogestione trova nella tecnologia avanzata uno strumento significativo, che deve aiutare per fornire gli elementi indispensabili per lo sviluppo del Terzo Mondo: l’acqua, l’elettricità, la salute…

Sviluppo che è il primo elemento di radicazione alla terra perché risponde ad una delle ragioni di insediamento, e cioè il raggiungere una qualità di vita sufficiente. Ma lo sviluppo economico non è sufficiente per assicurare il radicamento: è necessario anche lo sviluppo sociale.

Uno dei principali motivi che spinge a lasciare le campagne è proprio lo squilibrio sociale con la città, contenitore privilegiato di scambi sociali, di attività culturale, di trasmissione all’informazione. Se si vuole il radicamento nelle zone marginali all’attuale “centro” delle società che tendono all’industrializzazione bisogna innescare un poderoso processo di decentramento, favorendo le linee di sviluppo congruenti a quest’azione.

La giustizia sociale; la necessità di aumentare la produzione agricola; quella di non sovraccaricare di popolazione aree ristrette del territorio con i conseguenti problemi di approvvigionamento, trasporti… ; la convenienza a mantenere un corrette equilibrio ecologico: sono tutti motivi “esterni”, “sociali” per il decentramento. Ma essi da soli non bastano. Bisogna coinvolgere e rendere attive le volontà delle singole persone, delle famiglie: bisogna che esse vogliano il decentramento, lo gestiscano e non lo subiscano. Bisogna che trovino, nelle campagne, risposte alle fondamentali esigenze economiche, sociali, culturali.

Sono solo la tecnologia avanzatissima, l’informatica, la telematica, che permetteranno questo “salto di qualità” nelle campagne, salto di qualità che il contesto tecnologico tradizionale non permetteva proprio perché rendeva marginali, per difficoltà di integrazione, le campagne; d’altronde il contesto tecnologie industriale, che avrebbe potuto facilitare un decentramento, ha aggravato e aggrava tuttora la situazione portando al drenaggio delle risorse agricole, ai massimi investimenti in città, alla concentrazione del potere, delle decisioni, della cultura nelle are urbane.

Che cosa possono permettere informatica, telematica, le tecnologie avanzatissime?

Innanzitutto, un’enorme diminuzione di costi di tutte le operazioni e di tutte le attrezzature che useranno i personal computer. Permetteranno poi l’uso delle tecnologie tradizionali locali anche poverissime, con, però, un drastico aumento della qualità. Infatti, gli strumenti di controllo elettronico garantiranno il raggiungimento della qualità voluta e il suo mantenimento anche se la mano d’opera è scadente e il processo costruttivo non è industrializzato. Tutto ciò permetterà l’autocostruzione in edilizia, ma anche la produzione decentrata di prodotti di ogni tipo, come la avrebbero voluta Gandhi da una parte e Mao dall’altra, con visione anticipatrice rispetto alle possibilità del loro tempo.

Permetteranno, infine, l’irradiazione, sul territorio, di quantità enormi di informazioni, collegamenti con banche dati; possibilità di seguire, da casa e da “centri decentrati di ascolto”, lezioni universitarie impartite televisivamente, ecc. Permetterà, tutto ciò insieme a un denso sistema di trasporti a griglia e non concentrici su un unico punto, il situare una qualsiasi importante manifestazione culturale, politica, ecc., in un qualsiasi punto del territorio: ciò perché la maggior parte della gente potrà seguirlo dai propri paesi se non dalle proprie case e perciò sarà più o meno indifferente che avvenga nell’una o nell’altra località.

È tutto ciò, utopia? Forse sì: ma di utopia abbiamo bisogno, per muoverei verso un’umanità più giusta, meno divisa, che sappia collegare il progresso scientifico alle reali necessità.

Di tutti gli uomini, specialmente delle fasce di essi oggi ai margini della società.

 

Giorgio CERAGIOLI

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