Dobbiamo fare i conti con il fatto che il futuro non sarà questo presente con qualche aggiustamento. All’inizio di un nuovo anno si fanno i bilanci e si tenta di rilanciare il futuro pur essendo tutti appesantiti dalla pandemia. Le macchine che abbiamo costruito, nutrite da miliardi di dati, sono fatte apposta per pre – dire il futuro, dire prima quanto avverrà poi in modo tale da essere pronti ad aggiustare ciò che si rompe, approfittare di ciò che si genera, valutare ciò che comparirà. Le macchine guardano al presente e costruiscono il futuro semplicemente replicando il passato in forme statistiche. Le macchine non immaginano il futuro, non possono, trasportano semplicemente un passato ritenuto più solido nel domani. E noi spesso ci adeguiamo a tale trasposizione rendendo concreto quanto le macchine ci hanno numericamente indicato. In teologia questo si chiama profezia auto avverante.
Il futuro ossessiona l’essere umano da sempre perché è nel futuro che egli ripone le sue speranze e senza speranze non si vive. Da quando Francis Bacon ci ha emancipato dal futuro magico ed immaginifico in appalto alla divinità ed alla superstizione, ed alle religioni tradizionali relegate nel privato, il futuro e soprattutto la speranza sono messe in mano alla scienza ed alla sua ancella pratica, la tecnica. Sino ad oggi. Andiamo troppo veloce, le iterazioni sociali e scientifiche generano variabili incalcolabili ed il futuro non può più essere un remake meglio riuscito del passato. Non è solo il fattore covid ad imballare il sistema, siamo noi. Siamo quasi otto miliardi sul pianeta, con i nostri battiti di ali iperconesse, con l’esercizio imprevedibile della nostra libertà, con il male che facciamo più ancora del bene che vogliamo. Bacon aveva torto: non si spera di soli numeri. Si spera se l’umano, generazione dopo generazione, crede ancora nel valore di essere umano. Così se un assistente vocale invita una bambina a fare un gioco pericoloso e mettere le dita in una presa elettrica non siamo di fronte ad un incidente di percorso, ma neppure di fronte alla rivolta delle macchine. Siamo di fronte al fatto che un futuro buono è frutto di scelte libere e consapevoli di persone buone, non di macchine addestrate ad essere migliori.
La tecnologia e la scienza ci regalano oggi l’opportunità di essere più umani, più etici, più religiosi, più liberi. Non in forza della loro capacità di liberarci o trasformarci, ma in forza delle richieste pressanti che esse ci fanno di futuro. L’algoritmo ha il nostro volto. Il mio ed il tuo. Siamo noi chiamati, per dirla con Morin, a dialogare con l’incertezza. Non possiamo chiederlo alle macchine perché esse ci parleranno sempre di quello che è accaduto ieri e non potranno mai narrarci quello che insieme potremo fare domani. Il futuro è una scelta profetica: cioè una conoscenza la più profonda possibile del presente, una conoscenza umana, vitale, valoriale, esistenziale che sceglie nel futuro delle mete da raggiungere ed in quelle mete investe il proprio passato e le forze congiunte del proprio credo, della propria libertà, della propria umanità. Assistiti e non sostituiti dalle macchine. Non è poesia, non è prosa, non è numero. Siamo noi, per un attimo lo abbiamo scordato rispondendo a Facebook. La speranza sono io per te e tu per me, ed è una buona speranza.
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