Per il futuro e non per il passato

Ripubblichiamo parte di un articolo di Giorgio Ceragioli, già apparso sul numero di dicembre 1985 del periodico dell’Università della Pace,“UdP Informazioni”

 

È ancora vero che l’aumento della scolarizzazione è uno dei risultati più sorprendenti e incisivi fino ad ora ottenuti nella lotta contro il sottosviluppo, tanto che non pochi rinfacciano a questa scolarizzazione, “scarsamente finalizzata” ai bisogni del Terzo Mondo, una serie di guai non indifferente (la corsa ai colletti bianchi, il rifiuto del lavoro nelle campagne; lo scollamento dai problemi reali del paese; ecc.): e non si può dar loro troppo torto.

Vogliamo qui sostenere, però, la tesi della necessità di una formazione scientifica molto più avanzata se ci si vuole liberare dal sottosviluppo, e relativo neocolonialismo,  tecnologico. Riteniamo, cioè, e forse un po’ provocatoriamente, che la scolarizzazione dovrebbe essere molto più spinta quantitativamente ma anche qualitativamente: essa dovrebbe essere cioè la scolarizzazione per il futuro e non per il passato.

È vero che bisogna evitare lo scollamento con la realtà attuale che affonda le sue radici nel passato ma è anche vero che bisogna evitare lo scollamento con il futuro che in molti altri paesi è già l’oggi. Evitare lo scollamento con il futuro vuol dire, per noi, intravederne le linee portanti, preparare alla loro gestione le nuove generazioni e, fin dove è possibile, anche i giovani e gli anziani.

Riteniamo, cioè, che la nuova formazione e scolarizzazione per l’Africa, l’Asia, l’America Latina, passi attraverso l’insegnamento, da oggi, della informatica, delle tecnologie avanzatissime in ogni campo. Ci pare che anche in questo campo della formazione, tesa a utilizzare e valorizzare per lo sviluppo la più ricca, diffusa e importante risorsa del Terzo Mondo – l’intelligenza umana -, ci si debba muovere con attenzione per evitare gli shock culturali ma anche con determinazione ed efficacia.

Potremmo parlare qui di “formazione ibridata”. L’ibridazione della formazione passa attraverso ipotesi che rendano contemporanea la valorizzazione del lavoro manuale, agricolo e non agricolo, con la formazione alla informatica, telematica, ecc. Ipotesi che leghino la formazione tecnologica avanzata ai bisogni reali, immediati e futuri, che permetta la creazione di esperti non più solo “medici scalzi” o “tecnocrati”, ma gente che sia capace di vivere nelle campagne o nelle bidonvilles e mettere a servizio la sua conoscenza avanzata per innescare rapidi processi di innovazione e sviluppo. È ovviamente, una enorme rivoluzione nei programmi e nelle prospettive scolastiche, ma è ancora di più una rivoluzione culturale nella direzione del servizio, della solidarietà, della coscienza politica e sociale.

Non insistiamo su questi aspetti dell’utilizzazione dell’intelligenza in campi non tecnologici: vogliamo solo sottolineare come siamo consci, e lo dichiariamo, dell’insufficienza di una “intelligenza” applicata solo alla scienza e alla tecnologia, come, d’altronde, sarebbe insufficiente un’intelligenza applicata solo alla politica, senza il coinvolgimento dello strumento tecnologico e scientifico (e senza il coinvolgimento di valori profondi, di riferimenti etici, di sostegno della solidarietà con il mondo dello spirito, della meditazione, ecc.).

Tecnologia e scienza; ricerca e formazione; intelligenza e volontà; si tratta di binomi inscindibili per perseguire uno sviluppo il più celere e umano possibile anche solo nel campo coperto da queste note: quello tecnologico.

Ci pare infatti inevitabile un miglioramento delle rese prodotti/lavoratori, miglioramento che per non creare disoccupazione deve essere accompagnato da nuovi mestieri, da nuove possibilità nel terziario e nel terziario superiore, da creazione di posti di lavoro che creino altre attività rispondenti a tali esigenze, per permettere anche una nuova organizzazione del lavoro e della società che assorba l’estrema efficienza dei nuovi processi lavorativi: ciò senza creare nuovi inutili beni, propri di un consumismo che può essere antiumano, ma aprendo possibilità alla realizzazione di nuove forme di solidarietà, di autogestione, di vita culturale e spirituale.

Giorgio CERAGIOLI

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