Basta vocali, specie se lunghi: creano ansia e una comunicazione scorretta, anche basata sul “non scambio”. A dirlo è il Washington Post che stila un vademecum insieme a una delle massime esperte di “bon ton”. Ma andiamo per gradi. Intanto, ricordiamo che Galateo (nome proprio di persona) era un messer che scrisse a metà del ‘500 un testo dal titolo “Galateo overo de’ costumi” in omaggio al vescovo di Verona, Galeazzo Florimonte dal quale andavano a far visita molti dei nobili italiani. Galateo era quindi un perfetto uomo cortese, capace di comunicare con grande arte e di creare legami empatici.
Ecco ecco perché si parla di galateo e di bon ton, per quanto non siano sinonimi. È come dire denari e soldi. Quando pensiamo al galateo associamo le buone maniere, dai modi di pensare a quelli di agire fino ad arrivare all’arte del saper vivere già stigmatizzata nelle Sacre Scritture con i testi Sapienziali. Sembrano concetti lontani di secoli fa, ma valevoli anche ai giorni nostri. Se infatti trasliamo queste considerazioni al mondo dei social network, ora come allora vengono in auge le buone maniere.
La comunicazione di oggi avviene, a tutte l’età e per ogni contesto, attraverso i canali social con la messagistica istantanea o coi messaggi audio i cd “vocali”.
Partiamo dal presupposto che si tratta di una forma di comunicazione estremamente diretta e per certo meno formale rispetto agli SMS o alle “vecchie” comunicazioni telefoniche. Certo, si risparmia del tempo, ma attenzione a come si adopera il vocale. Se provassimo a stilare un elenco di “buone maniere” al tempo dei social, il tutto si potrebbe riassumere nell’acrostico “T.H.I.N.K.” che tradotto sta per: è vero? È utile? Porta a qualcosa di positivo? È necessario? È gentile?
In pratica, ogni genere di intervento sui social dovrebbe rispondere a queste cinque domande. Diversamente il rischio è veicolare un messaggio in modo non corretto e quindi non saperlo comunicare.
L’arte del galateo declinata sul mondo dell’online, si rende necessaria in una società sempre più digitale; e la regola d’oro di non esagerare vale anche in questo settore. Molte infatti sono le cattive abitudini soprattutto legate alla forma del vocale, tanto comodo ma solo all’apparenza. Trillo inequivocabile specie se non si tiene lo smartphone in modalità silenziosa e che può giungere nel bel mezzo di una riunione; se poi non si è costantemente muniti di auricolari il vocale può creare disagio e imbarazzo specie se lo si ascolta in diretta, non potendone sempre conoscere il contenuto a priori. Per non parlare dei videomessaggi/vocali istantanei quale ultima frontiera della comunicazione sui Social. Secondo alcuni dati statistici “ogni giorno solo su WhatsApp […] vengono inviati 200 milioni di audio”, circostanze che gli esperti di comunicazione ritengono essere “…il metodo peggiore” giungendo alla conclusione che “spesso l’audio sullo smartphone crea ansia in chi li riceve”.
Lo stato ansiogeno è dato principalmente dal fatto si tratta di monologhi nei quali chi li riceve non può intervenire simultaneamente e se del caso controbattere come potrebbe avvenire in un colloquio de visu, se non nella misura di altro vocale possibilmente di pari durata. Destano ansia anche perché talvolta i messaggi audio non si comprendono nei toni o nel loro stesso contenuto per via dei rumori di sottofondo. Ancora, sono motivo di ansia e recepiti come molesti ogniqualvolta portano a una comunicazione differita e su piani paralleli. Insomma, tanti aspetti tutti convergenti verso una comunicazione del “non scambio” (di opinioni, di idee, ecc.).
Quali rimedi? Se non si ama questa modalità, per evitare di ricevere altri vocali si può rispondere per scritto o indicare nello stato che “non si ascoltano vocali”, oppure li si ascoltano senza ascoltarli o manco si scaricano. Tanti possono essere gli escamotage, basta metterli in atto con educazione.
Chiara PONTI, IT Legal e nuove tecnologie