Da questa crisi mi pare ormai evidente che ne usciranno bene due categorie di soggetti: quelli che disponendo beni consistenti, competenze e network sapranno cogliere le migliori occasioni speculative sui mercati finanziari nei mesi (e negli anni) a venire; e quelli che sapranno reinventare il proprio giro di affari rendendolo dapprima Covid resistente, e poi permanentemente digitale.
Dalla catena agrifood che ti fa arrivare in tavola ogni mattina pane, carne e verdure in quantità già calibrata sulla tua dieta (a sua volta impostata tramite app e dispositivi indossabili come orologi ed occhiali connessi) alla manifattura che compra su Alibaba e coinvolge le comunità fatturiera per fare ricerca e sviluppo e open innovation. Chi riesce a scavalcare il punto di non ritorno della digitalizzazione, ce la fa, magari tirandosi dietro tutto l’indotto. Chi no, no. E a quel punto diventa un peso anche per lo Stato che deve sostenerne le perdite. In questa congiuntura «si parrà» l’adeguatezza (se esiste) della nostra alfabetizzazione digitale,la prontezza di riflessi dell’azienda che deve ingegnarsi a fare cambi di strate- gia come fosse una startup, il coraggio di chi – italiano e se esiste- farà investimenti istituzionali in capitale di rischio di aziende non quotate con un elevato potenziale di sviluppo, e naturalmente la lungimiranza e la solidità della mano pubblica. Ancora: crescerà di molto il peso delle grandi piattaforme digitali (le cosiddette platfirm) chiamate a fare da supermercati digitali di merci, negoziazioni e grado di affidabilità dei mercati (e consenso) su scala ancora più smisurata. E crescerà la precarietà dell’infrastruttura umana in cui l’età digitale affonda in modo sempre più ambiguo le proprie radici.
Il ristorante salva il fatturato offrendoti il menu su Amazon: ma il rider che te lo porta a casa, e che magari prima faceva il cameriere a libro paga, chi lo tutela?
Roberto REALE
Agenzia per l’Italia Digitale
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