“Siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma esistenzialmente sempre più soli”. Parola dello psichiatra Tonino Cantelmi. E forse un po’ anche di tutte e tutti noi, immersi ogni giorno – per lavoro e per piacere – nel mare magnum fatto di social, blog, app, siti, chat.
Se da un lato ci sembra di vivere nell’illusione costante di un’empatia e di una condivisione di emozioni, sentimenti e pensieri rispetto alle mille esperienze quotidiane, sono molti gli studi psicologici che parlano di un isolamento sempre più spiccato dell’individuo rispetto alla società.
Un aspetto che emerge anche nel mondo dei comunicatori, esposti forse più di tutti alla pervasività dei nuovi strumenti di comunicazione.
Costruire un solido e diffuso network di relazioni è l’elemento indispensabile per oltre l’80% dei professionisti nel mondo della comunicazione, un utile strumento per sviluppare nuove opportunità di business e di crescita. Stessa percentuale (4 professionisti su 5) ritengono imprescindibile un riconoscimento lavorativo e sociale delle proprie competenze e del proprio ruolo di “esperti della comunicazione”. Il 73% degli intervistati lamenta l’assoluta mancanza di rappresentanza presso i decisori pubblici, le istituzioni e le business community.
Ecco alcuni dei risultati dell’indagine condotta dall’Area Comunicatori di Manageritalia Executive Professional, realizzata in collaborazione con AstraRicerche, COM&TEC e tekon Europe, per fotografare e conoscere l’evoluzione degli oltre 30 mila professionisti impegnati stabilmente nel mondo della comunicazione: dalle pubbliche relazioni, all’organizzazione eventi passando per i new media, l’advocacy e la comunicazione corporate, fino ai social media.
L’indagine, condotta tra luglio e agosto, ha coinvolto un campione di oltre 700 comunicatori in tutta Italia, bilanciati per genere (51.3% uomini e 47,4 donne) e distribuiti per fascia d’età (28.8% sotto i 45 anni, 42.0% sopra i 54 e 29.2% tra i 45 e 54 anni). I comunicatori svolgono la propria attività per il 57% presso imprese private (non di comunicazione) il 27% in agenzie di comunicazione, il 21% in Istituzioni, enti o organizzazioni pubbliche, il 12% in fondazioni e organizzazioni no profit e solo il 7% in studi professionali.
Sono molteplici gli ambiti e le aree di intervento della professionalità dei comunicatori per il 60% tocca la comunicazione d’impresa, per il 31% la comunicazione tecnica, 29% tematiche legate alla sostenibilità, 28% comunicazione pubblica e istituzionale, 26% tecnologia e innovazione, 14% in ricerca e sviluppo e solo il 7% si occupa di comunicazione politica.
Per 4 intervistati su 5 (85%) le proprie competenze professionali dovranno crescere nei prossimi 3-5 anni per porsi in sintonia con evoluzioni tecnologiche come l’intelligenza artificiale e dei social media. Competenze che per il 63% del campione dovranno essere sempre più certificate e per il 66% è opportuno che esista un percorso di formazione specifico che porti alla loro certificazione a garanzia delle proprie credenziali e di quelle del cliente. Infatti, per l’84% del campione i committenti non sono sempre in grado di valutare correttamente la vera qualità della comunicazione e dei comunicatori.
Un tema molto interessante della ricerca riguarda alcuni aspetti deontologici: per l’81% degli intervistati è saltata la differenza tra comunicazione e informazione i cui confini sono spesso labili se non addirittura ignorati.
Per i professionisti della comunicazione la costruzione di una consolidata rete di relazioni per cogliere le opportunità di sviluppo e crescita professionale altresì lo è per il 73% del campione la necessita di avere un soggetto, un’associazione o realtà capace di rappresentare le istanze della categoria. Infatti solo il 32% risulta iscritto a un’associazione professionale. Forte anche per il 68% dei comunicatori la richiesta di un sistema assicurativo capace di tutelare gli operatori dagli eventuali rischi professionali, immancabile per il 69% degli intervistati la necessaria creazione di un sistema di welfare integrativo, che affianchi quello pubblico per una migliore cura della salute del comunicatore e dei suoi familiari.
Insomma, “Il concetto chiave non è più la ‘presenza’ in rete, ma la ‘connessione’: se si è presenti ma non connessi, si è soli” ricorda il giornalista gesuita Antonio Spadaro. Fuori e dentro la rete.
Annalisa D’ERRICO