Ventiquattro politiche per accelerare, nei prossimi tre anni, l’innovazione e le potenzialità dell’IA nel tessuto economico e sociale del Paese
L’Italia s’è desta: varate dal Governo ventiquattro politiche per accelerare, nei prossimi tre anni, l’innovazione e le potenzialità dell’IA nel tessuto economico e sociale del Paese. Il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale (IA) 2022-2024, frutto del lavoro congiunto del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale è stato rilasciato pochi giorni fa. Il gruppo di lavoro che vi ha lavorato comprende alcuni tra i massimi esperti del settore Ai Nazionale tra cui Barbara Caputo e Juan Carlos de Martin del Politecnico di Torino ed Isabella Castiglioni della Bicocca, Marco Conti e Fosca Giannotti di Pisa, Rita Cucchiara Università di Modena e Reggio, Giuseppe Magnifico del CNR, Michela Milano dell’Università di Bologna, Giovanni Miragliotta del Politecnico di Milano. Le indicazioni che vengono date sono fortemente contrassegnate da una istanza produttiva: tanto per il sistema industriale e d’impresa quanto per la Pubblica Amministrazione.
Che si tratti di beni/servizi per il consumo o di servizio al cittadino, l’Ai in quanto tecnologia capacitante diventa uno strumento per rendere l’intero sistema Paese più efficiente e certamente più efficace, tema decisivo non solo per stare nell’agone mondiale, ma soprattutto per rispondere all’accelerazione sociale globale che non permette di stare fermi un giro. Bene o male che sia questo è un dato di realtà dal quale non è possibile spostarsi o tacere, certamente nel più lungo periodo va meglio ponderato rispetto allo stress emotivo ed esistenziale che ha procurato e che procura a chiunque. Vorrei, per quanto di mia competenza, sottolineare alcuni aspetti che attraversano il documento in parola. Vi è una marcata e decisiva relazione tra implementazione di sistemi di Ai e vita buona dell’essere umano. Questo principio viene così esplicitato: “lo sviluppo dell’IA deve essere incentrato sull’inclusione economica e sociale, sui diritti umani e sulla sostenibilità ambientale. L’IA deve essere progettata e implementata in modo responsabile e trasparente, affinché possa rispondere alle sfide della società garantendo sicurezza in tutti i settori” (2.2 punto 3). È la via europea che viene dichiarata come la via italiana: la via antropocentrica. Potremmo a buon diritto dire anche il viceversa, nel senso che la cultura italiana su questi temi è elemento fondante della cultura europea grazie al processo osmotico tra i nostri valori costituzionali e quelli dei trattati dell’Unione che si sono susseguiti nel tempo.
Questa importante premessa va più approfonditamente declinata sotto due profili evocati, ma che necessitano di maggiori chiarezze per essere messi effettivamente a terra. Va rimarcato che la ricerca fondazionale non può essere solo tecnica, ma deve essere anche umanistico/filosofico giuridica. Questo o si realizza immaginando che il sistema educativo, come nell’ambito dei dottorati sull’ai, opportunamente colga questo profilo, oppure che una parte di tali dottorati riguardino anche questo tipo di ricerca e siano pertanto opportunamente finanziati. Vieni in effetti esplicitato tra gli obbiettivi che: “Va incentivato un approccio multidisciplinare, dove la ricerca è accompagnata dall’innovazione industriale e sociale”. Come questo debba e possa avvenire credo sia necessario porlo maggiormente a tema, visto che non è del tutto chiaro, né in Italia né altrove nel mondo. Abbiamo bisogno di sistemi e scale per misurare questo aspetto, filiere educative che lo presidino, professionalità nuove che lo implementino. L’Italia potrebbe essere un apri pista in questo senso, andando ad agire là dove negli altri Paesi, non solo europei, ancora non si agisce in modo organico, mettendo in filiera l’impresa e la pubblica amministrazione, il sistema educativo e quello produttivo.
Il rischio, diversamente, è quello di un generico appello ai valori o di un eventuale ipertrofia normativa spesso poco capace di interpretare i bisogni ed i fini poiché volta più alla sanzione che alla guida dei processi. Sotto questo profilo potrebbe risultare vincente che la strategia e la sua implementazione prendesse in considerazione anche la compagine governativa che si occupa delle pari opportunità che ha certamente nelle sue corde molti dei temi a cui si è fatto cenno, oltre al coinvolgimento di altri attori sociali da sempre attenti a questi temi e che da sempre, hanno portato contributi di pensiero e di azione sostanziali. La Chiesa Cattolica certamente c’è ed è a disposizione, sempre per restare nel perimetro da cui provengo. La strategia era attesa, nella speranza che non sia il penultimo capitolo di un libro che sembra non avere termine. Le parole, grazie ai fondi che arriveranno, possono diventare azioni, ma se queste azioni garantiranno una vita buona ai consociati ed alle generazioni a venire, questo dipende molto dal volto che si deciderà di dare all’Ai, un volto che non può essere solo tecnico, ma che deve essere un volto umano, quello in cui solo siamo capaci di riconoscerci.
don Luca Peyron
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