Viviamo in un’era nella quale imitiamo i desideri degli altri. Oggi sono il partito degli influencer, gli algoritmi persuasivi a dirci chi e che cosa dobbiamo desiderare. Vogliamo qualcosa, sogniamo una situazione ideale perché desiderata, vissuta, indirizzata da un modello o un algoritmo. Sul desiderio la Bibbia è illuminante. Il decimo comandamento non vieta un’azione, ma il desiderio stesso: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). Il verbo desiderare evidenzia che dentro di noi esiste un pericoloso processo emotivo: il comandamento proibisce la bramosia, il desiderio ossessivo per ciò che l’altro possiede. La bramosia è pericolosa perché rende anarchica e violenta la comunità. Secondo la nota teoria di René Girard, antropologo, filosofo e critico letterario francese, per bloccare la crisi, sfogare l’odio, “riappacificare” il gruppo sociale, la folla – la furia collettiva di chi imita i desideri degli altri, di chi invidia – sceglie una vittima: un capro espiatorio. Girard evidenzia che «il diventare folla della folla è una cosa sola con il richiamo oscuro che la riunisce o che la mobilita, in altre parole la trasforma in mob. È da mobile, in effetti, che viene questo termine inglese distinto da crowd, come in latino turba è distinto da vulgus». In parole semplici, una folla che perseguita predilige sempre l’azione, non cerca le cause reali del problema. E nell’infosfera la folla è ancora più mutevole e fluida.
In un tempo ipertecnologico con più di 300 social media, e di folle di haters sempre in agguato, è ancora più difficile smascherare questo processo. Se influencer e algoritmi con obiettivi violenti indirizzano i nostri pensieri e desideri, rischiamo di peggiorare le nostre dinamiche relazionali, di diventare talvolta parte di folle intolleranti appagate soltanto dall’hate speech: il linguaggio dell’odio. Come afferma don Luca Peyorn: «Tanto più conosco e agisco digitalmente, tanto più il sistema, la macchina, la rete, mi suffragano nelle scelte, mi restituiscono consenso e mi illudono, chiudendomi in una bolla, che tutti la pensino come me». Radicalizzare la propria identità trascurando il tradizionale confronto “faccia a faccia”, supportare con reazioni e condivisioni le proprie posizioni, limita le opportunità tipiche del legame umano come il compromesso, l’accordo, il perdono. Chiusi nella “nostra” verità, alla fine troveremo il nostro capro espiatorio sul quale sfogare ogni nostro malessere.
L’unico modo per reagire a questa situazione è smascherare la logica del capro espiatorio. Secondo la lettura girardiana, Gesù Cristo, resistendo alle accuse, dichiarandosi innocente fino all’ultimo, senza mai cedere al desiderio di vendetta, anzi perdonando i suoi carnefici, ci fa comprendere che la vittima prescelta non favorisce la riconciliazione, ma consegna ai persecutori una dolorosa rivelazione: la responsabilità umana della violenza.
Siamo, dunque, obbligati a fare una scelta. Nel Vangelo di Luca leggiamo: «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «“Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”» (Lc 23,39-42). L’evangelista ci spiega che ognuno nell’esistenza è sempre di fronte a un bivio: seguire acriticamente la folla o staccarsi da essa. Luca utilizza un espediente catechetico e letterario: chi ascolta i malfattori è costretto a prendere una posizione a favore dell’uno o dell’altro, anche nell’infosfera. Nei Vangeli non esiste il concetto di equidistanza: occorre decidere se stare coi persecutori o con le vittime innocenti. Anzi, c’è anche un chiaro invito a evitare a tutti i costi la gogna mediatica persino ai colpevoli: Gesù ha rischiato la propria vita per salvare l’adultera dalla lapidazione (cf. Gv 8,1-11).
don Giuseppe PANI, Delegato Diocesano per la Pastorale universitaria, la cultura e l’evangelizzazione digitale Diocesi di Oristano