C’è un’esperienza che accomuna formatori, insegnanti, catechisti, educatori, psicologi e similari. Un’esperienza di fatica nel reinventarsi nel mondo digitale nel modo “A DISTANZA”.
Nel primo lockdown c’è stata la corsa dell’urgenza: capire come, fare subito. Oggi si cominciano a vedere i problemi più profondi, le fatiche più vere, perché se corro una maratona non posso tenere il ritmo dei centro metri. E non è solo una questione di ritmo: gli atleti delle due discipline hanno fisici diversi. Forse allora il problema è il lavoro su di noi.
Nella Fratelli Tutti, papa Francesco dice benissimo ciò che ci manca nel rapporto digitale: “C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana” (FT 43).
Lo condivido con tanti formatori, lo sento da ogni insegnante che ci crede, lo percepisco nella fatica dei catechisti. Potremmo chiamarla nostalgia dell’aula, se non fosse che non ci manca l’ambiente, ma ciò che conteneva, ovvero la relazione, la possibilità di relazione.
Papa Francesco, nello stesso numero dell’enciclica, continua: “I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità”.
Sembrerebbe quasi che si apra una divisione netta, una giustificazione per chi, criticando a prescindere ogni formazione a distanza, le rifiuta non utilizzandole. Eppure, c’è una parola magica che spiega tutto ed è “non basta”. Non basta la connessione in sé, serve l’umano che è in noi che vuole andare a toccare, rimanendone toccato, l’umano che c’è dall’altra parte dello schermo.
Se il digitale è un ambiente da vivere allora è necessaria un’inculturazione digitale per ridire l’essenziale. I miei sensi relazionali sono limitati? Devo potenziarne altri come fa una persona non vedente.
Che cosa fare allora? Forse può sembrare strano… ma semplicemente quello che facevamo prima o forse quello che avremmo dovuto fare prima. La mia formazione teologica mi dice che il come comunichiamo qualcosa non è solo un di più o una strategia d’efficacia. Il come comunichiamo è già quello che comunichiamo. Riusciamo a comunicare l’amore odiando? O la calma, urlando come forsennati? Se è così allora ogni incontro di formazione va preparato non solo nel contenuto ma anche nella modalità “didattica”. E questa può e deve variare in base a contesti e storie dei partecipanti.
Mi ritrovo allora a riscoprire nel digitale quelle possibilità che prima non accentuavo: vedo molto della vita delle persone perché entro a casa loro, se chiamo uno a uno con domande mirate, la gente (da ragazzi ad adulti) partecipa mediamente di più e allora io sono costretto a tarare meglio quello che dico perché è più l’ascolto del parlato! Il punto è che devo cambiare il mio modo di formare, al di là delle tecniche o di strumenti da conoscere, devo riadattarmi continuamente. Devo potenziare lo studio del processo: studiare l’argomento, conoscere i destinatari e lavorare molto di più su quali modalità sono efficaci in questa terra di missione che è il digitale.
E poi dobbiamo cercare le persone singolarmente, perché è quello che più si avvicina alla fisicità della relazione. Ed è così che prepariamo l’aula digitale o continuiamo il lavoro formativo nel tempo successivo.
Richiede impegno. Fatica. Ma lo sapevamo già: la connessione digitale da sola non basta e cercare le persone singolarmente è un passo necessario affinché l’altro si accorga di essere cercato, degno di nota, riconosciuto e quindi amato. Lo diceva anche don Bosco, quando le epidemie c’erano già ma internet non ancora.
Richiede impegno. Fatica. Conversione. Ma d’altra parte la formazione, come la fede, più che ai cento metri assomiglia alla maratona.
Gigi COTICHELLA– Formatore