Appartengo ad un’istituzione, l’Università, che come la Chiesa è conservatrice per natura. In questi giorni sono accomunate dall’opportunità, e volutamente non dico dilemma, di trovare il loro modo di dire e testimoniare la loro missione in un periodo così particolare. Per certi versi mi ha piacevolmente sorpreso come il mondo dell’istruzione, in poche settimane, abbia fatto un corso accelerato di modernizzazione tecnologica e abbia cercato di far sentire la propria vicinanza ai suoi allievi. Nonostante ciò che si dica dei giovani, mai come in questo momento, cercano e hanno bisogno di trovare risposte per interpretare lo scenario attuale, quelli futuri, ma soprattutto il cambiamento che verrà. Perché questa è l’unica certezza, volenti o nolenti questa volta il cambiamento verrà.
Le risposte, verrebbe da pensare, possono essere di due tipi: pratico-materialistiche o spirituali. Se accettiamo questa dicotomia il mio mondo dovrebbe occuparsi della prima opzione e la Chiesa della seconda. Gli sforzi di questi ultimi tempi e i risultati dimostrano che i docenti se la cavano discretamente bene, nonostante le difficoltà di adattamento, con la comunicazione mediata. La Chiesa un po’ meno. Non saprei teorizzare le ragioni di questa differenza in un algoritmo facilmente applicabile, ma essendo un analista del discorso, con una specifica attenzione ai social media, penso di saper osservare ciò che accade e so come, insieme a tanti colleghi, cerchiamo di realizzarlo, giorno per giorno.
La prima lezione appresa è che l’ingresso nella comunicazione mediata non può avvenire in modo estemporaneo e amatoriale. Come ogni strumento va conosciuto, appreso, praticato. Questo permetterà di costruirsi una «reputazione» in un terreno completamente nuovo e, per molti versi, insidioso, se non si possiedono e controllano, con dimestichezza, le regole d’ingaggio e di comunicazione. Comunità che frequenti, regole cui ti devi conformare. Non siamo soli. I social media nascono per un’interazione fra persone, non fra persone e istituzioni e quindi tutte le istituzioni hanno problemi. Ma per fortuna le istituzioni sono fatte di persone. La seconda lezione appresa è che, a prescindere il mezzo, a dispetto di quello che disse McLuhan, questo necessita di contenuti, autentici. Questa è la ragione del successo del mondo dell’istruzione di questi giorni. Un mondo messo in crisi dai tagli dissennati, ma che non ha mai perso di vista la propria missione: trasferire conoscenza ai propri allievi. Dopo il primo disorientamento, i docenti hanno capito che il problema non era dare contenuti, ma in che modo. Alcuni hanno scoperto che la via del cuore è fruttuosa e che si possono offrire soluzioni pratiche che parlano anche all’anima. I docenti sanno, interiormente, che il nostro lavoro è missione.
La Chiesa è fatta di uomini e donne che non dovrebbero avere incertezze su quali siano i contenuti di cui si deve parlare. La via maestra è nel Vangelo. Da laico questo attendo da una Chiesa moderna, che sappia parlarmi con il cuore in mano di quello che è l’insegnamento di Cristo. È tutto lì. Non bisogna aver paura di toccare qualsiasi argomento, dalla bellezza della vita al mistero della luce, così mi piace definire la morte. Voglio solo che a dirmelo siano persone autentiche che credono in quello che dicono, che abbiano il cuore collegato alla mente e alla voce che mi annuncia il messaggio. Tutto il resto, anche gli errori, saranno quindi più comprensibili. Come dicevo prima, anche la Chiesa è fatta di uomini, e alcuni hanno già compreso. Così un pastore di anime ha ideato una diretta sui social media intitolata «Cena con il Vescovo». Un successore degli apostoli che si mostra nella sua semplicità in un atto quotidiano che ricorda quello dello spezzare il pane. È un pastore di oggi, per l’oggi, che usa un mezzo che sa far arrivare il messaggio quando le chiese tendono a svuotarsi. Vedendolo, ho laicamente pensato: è la prima volta che sento Gesù presente attraverso i suoi successori nella vita quotidiana. Quest’uomo mi è sembrato autentico non per il mezzo utilizzato, ma per il messaggio e per la passione e sincerità che ne traspare. Perché da lì bisogna partire. Come il Papa che solo prega e medita sulla tempesta di fronte a una Piazza San Pietro deserta.
Michelangelo CONOSCENTI, docente Università Studi di Torino