Lockdown che unisce

Durante il lockdown abbiamo vissuto sentimenti ed esperienze forti, a volte inaspettati. Il confinamento ha svelato similitudine e vicinanza con persone e Paesi lontanissimi non solo geograficamente da noi.

Per lavoro viaggio molto spesso in tutto il mondo, specialmente in paesi in via di Sviluppo. I miei colleghi e gli esperti in cui collaboro si trovano nei Paesi più disparati, dal Ghana o la Guinea Equatoriale alla Moldavia, dal Bangladesh e l’India al Peru e la Costa Rica. Pensavamo di aver acquisito, ormai da diversi anni, una certa dimestichezza nell’uso degli strumenti tecnologici per metterci in contatto, condividere documenti e fare teleconferenze. Abbiamo dato per scontato che l’utilizzo fosse appannaggio “nostro”, dei paesi più avanzati. La pandemia di COVID-19 ha causato un improvviso cambiamento globale nel modo in cui le persone vivono, lavorano e socializzano. Di colpo – incredibilmente – ci siamo trovati tutti, a qualsiasi latitudine, nella medesima situazione, con gli stessi sentimenti, le stesse apprensioni, la stessa confusione. A distanza di pochi giorni o settimane, ogni mio collega o amico, ovunque nel mondo, si è trovato ad affrontare circostanze simili: riunioni di lavoro in T-shirt dal salotto o dalla cucina; un figlio (o più di uno), un cane, un gatto che irrompono nel bel mezzo del discorso; la linea che salta, la voce che si interrompe; la sirena di un’ambulanza di sottofondo…e lo sguardo di comprensione, di vicinanza, di empatia, che a volte strappa una risata, a volte una lacrima. Finalmente davvero vicini. Pian piano è andato scemando il non sempre velato senso di superiorità o di sicurezza dei “nordici” nei confronti dei “mediterranei”, degli europei nei confronti degli altri, dei più vecchi nei confronti dei più giovani. Abbiamo aperto gli occhi sulle fragilità e rigidità del nostro sistema sanitario, produttivo, finanziario, economico, della nostra società e di noi stessi. Dagli “altri”, abbiamo al tempo stesso imparato una flessibilità, una spontaneità, un’adattabilità, una forza innovativa che non sospettavamo o di cui non avevamo tenuto conto in passato. Una capacità di reazione che consente loro di reagire in maniera più rapida, efficace e innovativa a situazioni di emergenza.

Sentiamo parlare del digital divide, che recenti rapporti indicano come ulteriormente accresciuto con l’avvento della pandemia. Secondo i dati della GSMA, l’associazione degli operatori di telefonia mobile, circa tre quarti della popolazione dell’Africa sub-sahariana – 747 milioni di persone – ha un cellulare, nonostante le enormi difficoltà legate alla connessione Internet e alle carenze di conoscenze digitali e alfabetizzazione. L’Africa però è un continente giovane: a sud del deserto del Sahara l’età media è di 19 anni. L’innovazione e digitalizzazione sono trovano pertanto un terreno fertile. Infatti la digitalizzazione che da qualche anno sta trasformando l’economia africana ha fatto un gigantesco balzo in avanti in questi mesi, mostrando una capacità di adattamento notevolmente superiore a quella a cui abbiamo assistito da noi. Molti paesi africani per esempio hanno impiegato tecnologie digitali per passare a transazioni senza contanti, ad esempio, al fine di ridurre le occasioni di contagio. In Etiopia e Senegal, start up innovative hanno iniziato ad utilizzare la stampa in 3D per produrre schermi facciali e valvole per i ventilatori. La pandemia ha ulteriormente accelerato gli sforzi per rendere accessibili a più di 7 milioni di persone servizi essenziali per la salute e la sussistenza durante le crisi umanitarie, con il progetto “Mobile for Humanitarian Innovation” (M4H). In Rwanda, il piano di risposta al Coronavirus utilizza la robotica e intelligenza artificiale per migliorare e velocizzare l’analisi dei tamponi e rafforzare la sorveglianza epidemiologica.

Insomma, sapremo alla fine di questa esperienza aprire gli occhi e imparare dalle esperienze del nostro vicino, a torto visto come più povero, più giovane, quindi più inesperto e impreparato?

Vittoria Luda

SustainableCycles – United Nations University

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