È cominciato ieri, lunedì 12 giugno 2023, un viaggio spaziale.
Alle ore 23.35, l’Aula Magna si è riempita di un applauso denso di felicità, commozione e speranza. Studenti, insegnanti, genitori, e chiunque fosse presente in Aula o collegato da casa, ha vissuto in diretta il contdown e il lancio dalla base di Vandenberg, in California, del razzo Falcon 9.
Un altro applauso, pochi secondi dopo, ha colmato la stanza: quando il lanciatore è tornato correttamente alla base. Questo è il primo appuntamento di una serie: il satellite SpeiSatelles, adesso, sta macinando chilometri di altitudine, nello Spazio, custodendo dentro di sé parole di speranza e l’impegno, le energie e la passione dei ragazzi che in un tempo record hanno portato a termine un progetto di inedito significato e importanza.
Preistoria del progetto
“Per costruire un satellite ci vogliono in media tre o quattro anni. – dice Sabrina Corpino, professoressa del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS), responsabile del progetto – “Ma al nostro team sono bastati quattro mesi.”
Facendo un excursus, dobbiamo risalire a tre anni fa: in piena pandemia, il 27 di marzo del 2020, Papa Francesco, solo e sotto un pioggia battente, sale in piazza San Pietro per pregare con e per tutta l’umanità flagellata dal Covid. Questo è il momento Statio Orbis che ha segnato il cuore della comunità cristiana e ha dato origine al libro “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”, pubblicato da Piemme Edizioni.
Da quel giorno sono nate diverse iniziative da parte del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede in sintonia con Bergoglio e molti le hanno sostenute affinché l’evento mantenesse la sua forza trascinante di speranza per tutti i cittadini del mondo.
Nel 2021, per celebrare un anno dalla Statio Orbis, il libro ha “seminato” di speranza anche lo Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale di semi che si trova in Norvegia e che ha la funzione di fornire una rete di sicurezza contro la perdita biodiversità del patrimonio genetico delle sementi. Così, insieme a semi inviati da dodici Paesi arabi, è giunto anche il messaggio del Papa.
Il messaggio di pace è andato oltre. A marzo 2022, è stato trasformato nel nano-book realizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il testo di circa 150 pagine è diventato un minuscolo frammento di silicio appena visibile a occhio nudo.
Benchè la superficie stampata del libro corrisponda a 9 mq, e si tratti in totale di 222.655 caratteri, il grosso delle informazioni è rappresentato dalle fotografie che illustrano il libro: per i 222.566 caratteri sarebbe stato sufficiente un granello di polvere, si potrebbero scrivere sulla punta di quattro spilli
Ed eccoci al 2023, a tre anni dalla Statio Orbis. La preghiera del Papa parte per una missione spaziale, operata dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) con il satellite costruito dal Politecnico.
Spei Satelles non è più un segreto
“Spei Satelles” è il nome del progetto che per quattro mesi è rimasto segreto: i ragazzi del Team non potevano farne parola con nessuno. Adesso, invece, SpeiSatelles fa la sua scalata spaziale e tra qualche giorno emetterà un messaggio di speranza, udibile da tutto il mondo. Il piccolo satellite, ogni due minuti, lancerà via radio frasi tratte dal nanobook. In orbita, arriveranno le parole del Papa, ma non solo. Con un pennarello indelebile, sul retro di un pannello solare, ci sono le firme dei ragazzi del Team, senza i quali non sarebbe stato possibile toccare le nuvole.
“Il satellite “Spei Satelles”, ribattezzato “SpeiSat” che, per confidenza, è diventato “Spei” – racconta Amalia Dellacasa, 23 anni, studentessa all’ultimo anno del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) che si è occupata della meccanica strutturista, del design e della progettazione – è un CubeSat 3U, un piccolo satellite 34x10x10 cm che pesa meno di 3 kg.”
Esattamente, 2.8 kg, come un bambino appena nato o una scatola di scarpe. All’interno, però è ben diverso dal corpo umano e un paio di sneakers.
Infatti, SpeiSat ospita due computer di bordo, due sistemi di comunicazione in banda UHF, quindi dotato di due antenne, una batteria per accumulare l’energia solare, dei piccoli magneti per la stabilizzazione del satellite dopo il lancio e una suite di sensori termici e inerziali per effettuare misurazioni nell’ambiente spaziale. Nessun componente è stato fatto con stampante 3D, per evitare il fenomeno definito “outgassing”, cioè il rilascio di bollicine d’aria che potrebbero sporcare le ottiche e i pannelli solari.
“SpeiSat” custodisce, oltre al nanobook del Papa, un file contenente i messaggi di speranza da diffondere durante il suo viaggio. I nanobooks sono manufatti miniaturizzati, realizzati a partire da supporti lucidati di silicio, una sorta di “vetrini” costituiti da materiale cristallino di colore grigio scuro. Su questi substrati, di forma quadrata e di lato leggermente minore di 2 mm, sono stati “incisi” dei fori di dimensioni nanometriche, ovvero più piccoli di un millesimo dello spessore di un capello umano. Non essendo possibile effettuare una stampa convenzionale in miniatura a dimensioni così ridotte, si è utilizzato un “codice” ovvero i contenuti editoriali del libro cartaceo sono stati digitalizzati, e trasformati in una sequenza di 0 e 1, il codice binario utilizzato in ambito informatico. In corrispondenza di Per ogni “1” si è realizzato praticato un nano-foro, mentre per ogni “0” si è lasciato uno spazio vuoto. In questo modo è possibile recuperare tutte le informazioni del libro originale “leggendo” la sequenza di fori presenti sulla superficie.
Per immaginare la grandezza, si può pensare a un’unghia e dividerla in quatto. Un quarto di unghia è, esattamente, il libro miniaturizzato del Papa, del peso di 1 grammo, che i ragazzi giovani ricercatori hanno inserito nel ventre del satellite. “È così piccolo e leggero che temevamo di inalarlo – ci spiegano – perché lavoravamo in Camera Bianca, con il camice e i guanti, sotto il sistema di aspirazione”.
Il 28 di marzo 2023, con una valigetta Pelican, tutto il team accompagnato da Sabrina Corpino, ha portato il progetto per la benedizione del Santo Padre. Successivamente, “Spei”, dopo aver dato esiti positivi ai test, nei primi giorni di maggio è stato salutato dai ragazzi e spedito in California.
Il lancio
Esattamente alle ore 23.35 di lunedì 12 giugno è avvenuto il lancio da Vandenberg (VSFB), la base militare della SpaceForce e AirForce in California.
Il Falcon 9 è il vettore in due stadi parzialmente riutilizzabile di SpaceX, l’azienda aerospaziale statunitense fondata nel 2002 da Elon Musk, che accoglie, all’interno del carrier satellitare ION, sviluppato, realizzato e operato dall’impresa italiana D-Orbit a Fino Mornasco, il piccolo Spei.
Attenzione. L’evento più importante deve ancora avvenire. Il satellite non verrà rilasciato immediatamente: una volta avvenuto il lancio di Falcon 9, dopo qualche ora verrà rilasciato ION e dopo dieci giorni verrà rilasciato “Spei”.
“Questo sarà il momento decisivo – testimonia Leonardo Maria Festa, ricercatore del Team DIANA e studente magistrale del DIMEAS che si è occupato dell’assemblaggio, del design e della progettazione – La prima fase nominale di due settimane è detta Commisioning, Spei non trasmetterà ancora parole del Papa. La missione vera e propria incomincerà con l’emissione dei messaggi di testo memorizzati sulla memoria di bordo in tre lingue, spagnolo, italiano e inglese”. Qualsiasi radioamatore, in ogni parte del mondo, potrà ricevere i messaggi sulla frequenza 437.5 Mh, protocollo AX25.
SpeiSat sarà rilasciato in orbita bassa terrestre (Low Earth Orbit-LEO) ad un’altitudine di circa 525 km e seguirà un’orbita eliosincrona (Sun-Synchronous Orbit-SSO), che combina altezza e inclinazione in modo tale che il CubeSat sorvoli ogni dato punto della superficie terrestre sempre alla stessa ora solare locale.
Giorgio Ammirante, ricercatore del DIMEAS, è il System Engineer che si è occupato del coordinamento del gruppo, dal design al testing. È stato lui che introdotto, nel deployer del lanciatore, il piccolo satellite, a Vandenberg. “Il lanciatore è il Falcon 9. Non porta solo “Spei Satelles” ma anche altri payload– ci spiega – È un lancio transporter di Space X.”
Il team
Sabrina Corpino è la coordinatrice del progetto ed erede delle missioni di lancio precedenti: ha già guidato i team delle missioni spaziali in cui era stato coinvolto il Politecnico, di cui due sono in orbita. Il primo, lanciato con il razzo Vega, nel 2012. E, il secondo, con Sojuz dalla base ESA di Kourou (Guyane Francese) nel 2016.
“In quattro mesi è cambiata la concezione del tempo e dello spazio: lo spazio era il laboratorio e il tempo era quello che abbiamo definito “Spei”. Tutto era proiettato in funzione della sua realizzazione. – racconta Corpino – Dopo le vacanze di Natale, in seguito al contatto tra l’Agenzia Spaziale Italiana e Don Peyron, è arrivata la proposta per questo progetto. A tutti gli effetti, questo è un progetto sperimentale, perché oltre al fine di portare una preghiera di pace nello Spazio, con questa missione di volo si vogliono testare delle tecnologie precise.”
Sono, infatti, tre gli esperimenti che si vogliono validare con la missione di volo. Il primo esperimento riguarda i sensori di temperatura, i quali sono indispensabili per avere dati dall’orbita e per validare i modelli che usiamo per fare le valutazioni sulle analisi termiche. Il secondo esperimento riguarda la scheda per la raccolta dei dati dei sensori che contiene una piattaforma inerziale. In particolare, si voglio testare i giroscopi per fare valutazioni sull’assetto del satellite. Infine, si vuole analizzare il funzionamento dei magnetometri su tre assi, sempre presenti sulla piattaforma inerziale, per effettuare valutazioni del campo magnetico.
In quattro mesi, in un piccolo laboratorio dell’Ateneo, tra momenti critici e di sconforto, tra l’esaltazione per risultati dei test e turni da 24 ore, meno di venti persone hanno concretizzato qualcosa di immenso, con una portata a livello mondiale.
Persone giovani, tra i 20 e 30 anni, che fanno capire quanto è importante valorizzare le energie e riconoscere l’impegno delle nuove generazioni e che se l’Italia non potenzia la ricerca universitaria, perderà il suo patrimonio più vitale.
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