Pastorale digitale, è sfida sinodale

Quali conclusioni? Proponiamo tre “idee-forza” del discernimento effettuato. La prima è rendere vicino quanto è lontano. L’ecclesiologia di Francesco e, quindi, la sua proposta pastorale ci invita a passare da una pastorale autoreferenziale, sedentaria e statica a una aperta, itinerante ed estatica, concretizzando così quel processo missionario permanente che vuole andare verso tutti e raggiungere gli ultimi, i dimenticati che Dio non dimentica. Nel linguaggio di Francesco: si tratta di andare verso le periferie geografiche ed esistenziali. Abbiamo sentito un grido: occorre rendere vicino ciò che è distante.

L’ambiente digitale ha permesso di superare le distanze di geografie e orari diversi per portare avanti il discernimento comunitario e allargare gli orizzonti del Sinodo. La digitalizzazione permette di ridurre le distanze tra credenti e non credenti, tra sacerdoti e fedeli. Rende possibili relazioni più paritarie e contribuisce ad accorciare le distanze generazionali. La capacità missionaria che si può trovare nelle reti aiuta ad arrivare dove di solito non è stato possibile, favorendo così la vicinanza della Chiesa alla gente e alle nuove realtà che si stanno vivendo.  Oggi una delle più grandi crisi della Chiesa è l’assenza di missionari che condividano un Gesù vicino, molti missionari/evangelizzatori digitali sono invece impegnati in modo creativo nel portare Gesù alle periferie che, spesso inconsapevolmente, hanno fame e sete di Lui e del Suo Messaggio. Questa vicinanza è un’espressione della cultura dell’incontro a cui Francesco ci invita.

La seconda direttrice è pensare la “pastorale digitale”. Nella missione evangelizzatrice della Chiesa si sono configurati i diversi ministeri pastorali (educativo, catechistico, familiare). Oggi vediamo l’esistenza di spazi digitali come un “locus”, che va oltre il semplice concetto di “strumentalità”. Così, questo “locus” è abitato spontaneamente da credenti e non credenti e da evangelizzatori/missionari digitali che svolgono la loro missione in questi spazi. L’universalità della Chiesa si riflette anche nelle reti sociali e in altri spazi digitali.  Questa “pastorale digitale” è tanto più necessaria quanto la realtà della missione/evangelizzazione nelle reti si svolge spesso senza un adeguato accompagnamento, formazione e guida, lasciandola aperta al rischio di errori e distorsioni. Il discernimento della seconda fase del Sinodo ci invita quindi a pensare a una pastorale digitale. Ciò implica scoprire e riconoscere che essa esiste ed è all’opera. Come una rinnovata Pentecoste, pensare alla pastorale digitale significa sperimentare una Chiesa che allarga la sua tenda e quindi smette di parlare in un linguaggio monoculturale per ascoltare in dialogo le molteplici espressioni interculturali della diversità.

La Chiesa è chiamata a una conversione pastorale che porti a una nuova espressione della pastorale digitale e contribuisca a una maggiore organicità e fecondità evangelizzatrice in una nuova realtà culturale. In questo modo, nella comunione e nella partecipazione, si favorirebbe la corresponsabilità tra la Chiesa gerarchica e gli evangelizzatori digitali, che si percepirebbero come parte di un tutto e più vicini ai Vescovi, ai sacerdoti e agli altri agenti pastorali della Chiesa. Pensare alla pastorale digitale ci chiama anche ad accompagnare e formare i missionari/evangelizzatori che svolgono la loro missione negli ambienti digitali. Loro e le loro comunità chiedono questo accompagnamento e questa formazione, soprattutto i più giovani, che cercano di vivere l’amicizia con Gesù in una sincera conversione del cuore. Una formazione profonda e attraente nella fede e, allo stesso tempo, che tenga conto del fatto che, per i giovani, la bellezza è un valore.

Di qui il terzo punto: costruire reti. Gli evangelizzatori digitali sono spesso soli con la loro comunità. Non solo per la mancanza di relazioni con altri ministeri pastorali, ma anche per la mancanza di legami con altre comunità nello spazio digitale. I giovani in particolare apprezzano le reti come luogo di incontro. Vogliono sentirsi parte, esprimono il bisogno di una risposta, di sapere che ciò che dicono è ascoltato. È necessario aiutarli a fare un’esperienza ecclesiale di comunicazione e comunione. Trascendere la loro piccola comunità per incontrare altre comunità che vivono nello stesso spazio. Le reti sociali e gli altri ambienti digitali, che rendono vicino ciò che è lontano, hanno tutte le potenzialità per facilitare l’incontro. Tessendo reti, le comunità, accompagnate da evangelizzatori digitali, possono dimostrare più chiaramente la propria condizione di comunità ecclesiale. Anche lì c’è la Chiesa che evangelizza e rende possibile il flusso della Vita della Grazia in abbondanza in questi spazi.

(6/fine)

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