Se giriamo in una qualsiasi libreria cattolica, troviamo una vasta produzione di testi con due parole chiave: Chiesa e Digitale. Non stiamo qui a fare l’excursus di un rapporto che assume le tinte della relazione tra due mondi che tanto opposti non lo sono. Ciò che accomuna tutti i testi che affrontano la relazione è un’ulteriore termine: evangelizzazione. C’è chi parla di evangelizzazione nel digitale, chi di annuncio del Vangelo negli ambienti digitali, chi parla di presenza nelle periferie digitali e via dicendo. Tante sfaccettature di una presa di coscienza ecclesiale sul fatto che il digitale è una realtà umana e quindi vi è il bisogno di una relazione con essa ed in essa. Anche i pronunciamenti del Papa, dei Vescovi a vario livello si soffermano su questa realtà. Ma ora vorrei spostare l’asse della riflessione su un’ulteriore termine che si potrebbe aggiungere alla sequenza: Chiesa-Digitale-Evangelizzazione. Il termine è: Educazione.
Molte cose potrebbero dirsi sull’educazione all’uso, alla presenza, alla gestione del digitale e dei supporti ma un punto d’interesse è l’educazione come azione. L’educazione come azione nel mondo digitale mette insieme il fine, il metodo e le tecniche per saper vivere e risolvere le novità che in esso si presentano. Il modo di comportarsi con i social nel mondo digitale mostra l’urgenza di avviare processi di educazione in funzione evangelizzatrice. Per dirla in parole povere, non si può giustificare tutto ciò che si fa con i social chiamandolo per evangelizzazione o presenza ecclesiale nel digitale, perché se si guarda a fondo scopriamo che evangelizzazione non è. Racconto due brevi esperienze vissute nei giorni scorsi in Vaticano per cercare di fissare il punto della questione. Mi trovavo di buon mattino in una Basilica di San Pietro deserta quando entra un gruppo di persone di mezza età con smartphone puntati già dall’ingresso. Ho voluto seguirli per un po’ ed ho notato che i loro occhi, direttamente, sulle meraviglie della Basilica non si sono mai posati. La visita avveniva solo con l’inquadratura del loro smartphone ovunque essi si trovassero. Situazione analoga durante l’udienza di Papa Francesco quando un esercito di smartphone lo hanno puntato dall’arrivo fino alla fine. Potrebbero sembrare gesti ingenui di turisti che desiderano portarsi a casa un ricordo pontificio ma forse vi è qualcosa di più radicale. Sembra esserci nella persona umana un’incapacità a relazionarsi con la realtà circostante senza la mediazione del media, come se il digitale permettesse di appropriarsi di qualcosa mentre in realtà la si perde. Privare gli occhi della grandiosità del Baldacchino di San Pietro soltanto per averlo nell’archivio video/foto rende meno umano il rapporto con il digitale, così come dover registrare quanto avviene in presenza del Santo Padre significa impoverire la relazione che, la presenza, può garantire con lui come può esserlo un sorriso, uno sguardo, una stretta di mano.
C’è un rapporto tra noi, digitale e realtà materiale che va posto in un buon equilibrio in modo che non si perda la capacità di donare qualcosa di noi stessi. Sembriamo, a volte, accumulatori seriali di momenti belli in modo che essi non ci sfuggano di mano, che possano rendere più vivibile una vita che altrimenti non lo è. La presentazione di un’immagine di noi stessi che eclissa l’immagine di Cristo non permette di annunziarlo, di condividerlo, di renderlo parlante attraverso la voce eloquente del Vangelo. Educarsi a vivere nei social rende tutti annunziatori di un Dio che cerca ogni persona con la mediazione di Cristo. Ogni relazione che si intesse nel digitale può condurre all’incontro con Cristo, così anche la condivisione di un evento può essere fatto in modo che sia un rimando alla Bellezza del creato, dell’ingegno umano, dell’azione della Chiesa. La Bellezza della condivisione rispetto all’appropriazione rende il digitale una realtà più umanizzata nell’umanità di Cristo.
Fr. Rocco PREDOTI, OFM Conv