Anche tra i banchi si impara la relazione uomo-macchina

La guida autonoma è una tecnologia emergente che si giova significativamente dei recenti progressi nel campo dell’intelligenza artificiale e promette un notevole miglioramento della mobilità delle persone dal punto di vista della sicurezza e dell’impatto ambientale. Affinché tali benefici sociali si possano realizzare è fondamentale un diffuso clima di fiducia nei riguardi del veicolo autonomo e, quindi, il superamento degli innumerevoli problemi di natura etica e giuridica legati alla sua potenziale adozione su grande scala. A tal fine, appare essenziale il ruolo della scuola sin dalle fasi iniziali della formazione. Allora, come proporre la riflessione su questo rilevante tema agli studenti?

Per rispondere, illustrerò sinteticamente una mia unità di apprendimento per la scuola di base, in cui gli allievi programmano delle microcar dotate d’intelligenza artificiale.

L’unità di apprendimento (v. Fig. 1) si avvale dei kit di robotica educativa Zumi (Robolink) e Codey Rocky (Makeblock). In una prima fase, servendosi dell’applicazione di machine learning e della videocamera digitale integrate nel kit di robotica Zumi, gli studenti sviluppano un semplice modello di classificazione dei colori (del tipo K-nearest neighbors). Scoprono – per esplorazione – che “addestrare” Zumi con campioni di cartellini di un certo colore (verde/rosso) molto diversificati (per luminosità, saturazione, etc.) migliora l’accuratezza dell’algoritmo. Comprendono, altresì, che classificare significa assegnare un valore di probabilità ad ogni possibile esito (verde/rosso) e che un modello si mette alla prova applicandolo a nuovi casi (cartellini colorati non inclusi nei campioni di addestramento).

In una seconda fase, i ragazzi programmano Zumi declinando creativamente un’idea-guida: programmare uno spostamento su un tappeto-puzzle che rappresenti un giocoso contesto urbano, nonché le azioni della microcar quando incontra un semaforo (simulato magari con uno smartphone) e la sua intelligenza artificiale riconosce il colore della fase corrente. Ne possono derivare soluzioni originali e molto divertenti: scatta il rosso, Zumi si ferma, fa gli occhi tristi, sbuffa (!) e, dopo un po’, dà segni di nervosismo.

Nell’ultima fase dell’esperienza, gli alunni si concentrano di più sul rapporto tra la tecnologia e l’uomo e sulla ricerca di un’armonia. A tal fine, programmano una seconda microcar, Codey Rocky, in modo che questa possa adeguare lo stile di guida alla stato emotivo del passeggero. In particolare, questo simpatico robotaxi attinge informazioni dall’immagine catturata da una webcam esterna, che inquadra uno studente o il prof nel ruolo di clienti. Il riconoscimento di un’espressione di tensione o di altra natura avviene grazie ad una rete neuronale artificiale. Questa è “addestrata” servendosi di una semplice applicazione integrata nel kit, nonché di tanti campioni di foto quanti sono gli stati emotivi da classificare. Anche in questo caso, la regia pedagogica del docente favorisce la comprensione dell’apprendimento artificiale e fa “inciampare” gli allievi nei problemi legati alla qualità dei dati. Inoltre, ancora una volta, la creatività dei ragazzi è fortemente stimolata: ad esempio, si può programmare Codey Rocky in modo che si muova con uno stile stop-and-go e guardandosi spesso intorno, nel caso il passeggero fosse timoroso.

Come si può evincere dalla descrizione, l’unità di apprendimento mira a far capire la logica dell’apprendimento supervisionato delle macchine e che le tecnologie emergenti, come i veicoli autonomi, dovrebbero tendere al rispetto e alla valorizzazione della dignità e dell’unicità della persona.

[fine]

Mario CATALANO, Ricercatore, Docente, Editore Scientifico
Researchgate, Linkedin, Facebook, Youtube (Sorpresea64bit)

 

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