“Abitiamo un mondo ricco, pieno delle stupefacenti possibilità che ci sono offerte da una tecnica sempre più avanzata. Abitiamo un mondo in cui sembra possibile soddisfare ogni bisogno. E può crescere, anche tra i cristiani, la tentazione nefasta di chiedere ormai tutto a questo mondo, che rimane tuttavia finito, fragile, e in alcuni aspetti persino malato. Dirigere a questo mondo finito il nostro desiderio di vita infinita è però mettersi nell’anticamera dell’infelicità e persino della disperazione. Non c’è proprio bisogno oggi di una Chiesa che sia il semplice prolungamento di questo nostro mondo. C’è invece ancora un bisogno immenso, dentro questo mondo, del servizio che possono rendere dei cristiani che continuano a rimanere in attesa della venuta ultima del Risorto: è il servizio della speranza, è il servizio di un senso per le nostre esistenze e la nostra umanità».
Questo un passaggio del ringraziamento finale del novello Arcivescovo metropolita di Torino, Roberto Repole nel giorno dell’ordinazione episcopale il 7 maggio. Parole significative per il Servizio per l’Apostolato Digitale e per i lettori di questa pagina, che mette a fuoco di settimana in settimana le connessioni tra tecnica, digitale, società e fede. L’Apostolato Digitale nasce da parole simili, da una intuizione ed una richiesta del Papa in occasione del Sinodo su Giovani e discernimento vocazionale.
Ogni Diocesi, chiedeva Francesco in Cristus Vivit, dovrebbe attrezzarsi per pensare l’ambiente digitale che rappresenta per la Chiesa una sfida su molteplici livelli. Il digitale richiede non solo di abitarlo e di promuovere le sue potenzialità comunicative in vista dell’annuncio cristiano, ma anche di impregnare di Vangelo le sue culture e le sue dinamiche. Le parole dell’Arcivescovo di Torino richiamano la scintilla iniziale: dare senso alla vita nella condizione digitale alla luce del Vangelo. C’è bisogno di una Chiesa che sia profezia di quell’incarnato che tutto è stato ed è tranne che immateriale, ma che nei metaversi millantati o concretissimi, rischia di perdersi tra le notizie e non essere quell’unica notizia che davvero ci salva. Alla conoscenza tecnica possiamo e dobbiamo affiancare una presa di coscienza esistenziale e spirituale.
In questo frangente i battezzati trovano un proprio ruolo peculiare: aiutare il mondo a capire che non deve solo funzionare ed aiutare la Chiesa a dialogare con il mondo perennemente preoccupato solo di funzionare. La fede dunque non è semplice sentinella di una tecnologia rispettosa dell’uomo, non è a servizio di una tecnologia umano centrica. Ma è sentinella del bisogno dell’umano di scorgere se stesso e l’Altro cercandolo là dove esso si palesi in una contingenza storica particolarmente segnata dalla tecnica e dalla cultura tecnica.
In questa prospettiva diventa importante conoscere il funzionamento della macchina, in qualche modo aprirla e guardarci dentro. Per comprendere. Che la macchina è una macchina, non un artefatto magico che realizza sogni a costo zero. Che essa funziona mentre noi si vive. Capire meglio come la macchina si innesta nella nostra esistenza e come le nostre esistenze siano innestate in essa, per discernere chi sia davvero funzionale a chi. Per desacralizzare le macchine e chi le costruisce, vende, propone e progetta. Infine è importante oggi conoscere la macchina per comprendere che essa è costruita mentre noi no. L’essere umano non è costruito, e non si costruisce, ed è proprio per questo che siamo in grado di costruire.
Noi siamo creati o generati, non assemblati. In un tempo di cultura tecnica la riappropriazione di questo principio è ri-fondativo di qualunque forma di personalismo e di un umanesimo che non sia semplice spolverata umanista ad un sistema altrimenti tecnico – burocratico – finanziario.
Il Signore tornerà sulle nubi del cielo, non in un cloud. Ma solo conoscendo dal di dentro questo mondo possiamo essere nel mondo e non del mondo, portandovi la profezia che vi manca e che ci è stata donata per essere condivisa.
Équipe per l’Apostolato Digitale