“Giuggiola sei mia”, è la poetica dichiarazione d’amore scritta con pennarello giallo acceso sulla parte anteriore di un sottobanco. Il disegno di un volto stilizzato, quasi a tratto unico, ha per tela una delle porte dei bagni maschili. Una serie di cartelloni colorati apposti sulle pareti di un’aula, foto e scritte che intrecciandosi raccontano l’esperienza vissuta durante l’ultima uscita didattica. Quando si entra in una classe, persino nei bagni, non si ha mai l’impressione di entrare in un territorio neutro, ma sempre in un luogo fatto proprio da chi lo abita: in questo caso ragazzi e ragazze adolescenti. Questo vale per la scuola in presenza, ma non solo. Chi ha avuto la surreale esperienza di entrare in un’aula durante il lockdown accanto alla sensazione di un vuoto sordo ha avuto, paradossalmente, anche quella di una presenza osservando le tracce simboliche, più o meno evidenti, lasciate da tutti coloro che l’hanno abitata fino a pochi giorni prima. Quel luogo non è anonimo, ma è proprio: è di chi lo abita. Consegna tracce che parlano di un legame.
L’adozione della DAD come soluzione alla lacerazione del tessuto delle comunità scolastiche ha suscitato molte riflessioni e dibattiti, soprattutto riguardo al suo impatto sulla vita dei ragazzi. Gli aspetti maggiormente toccati sarebbero la socialità e la qualità del processo di apprendimento-valutazione. Vi è tuttavia, accanto ad essi, un altro aspetto meno citato ma forse altrettanto impattante: la perdita di un luogo-proprio.
La psicologia ci insegna che noi instauriamo una relazione di attaccamento con gli ambienti che abitiamo e frequentiamo abitualmente, simile a quella che si crea con le figure significative. In questo senso un nuovo ambiente incontrato, abitato, se sufficientemente buono, assume col tempo specifici significati, fornendoci quel supporto ed appoggio di cui abbiamo bisogno per assolvere importanti compiti evolutivi. Fermandoci per un attimo a pensare, ciascuno di noi potrebbe indicare un luogo significativo, al di là della casa d’origine, che ha favorito il raggiungimento di un obbiettivo di miglioramento od ospitato una tappa fondamentale per la propria crescita. Luoghi per noi “sacri”.
Ciò vale ancor di più nell’adolescenza, in cui si aprono diversi e fondamentali compiti evolutivi accompagnati da una forte “carica esplorativa”. La conquista di nuovi spazi e luoghi, assieme all’incontro con nuove figure di riferimento e al gruppo dei pari, forniscono quel “trampolino di lancio” per assolverli. Questi ambienti sono definiti dalla psicologia “secondari”, rispetto all’ “ambiente primario” della casa. E il luogo-scuola, ben oltre il tempo della lezione, è quell’ambiente “secondario” che permette esplorazione, appropriazione personale, in vista delle proprie conquiste identitarie e del proprio sviluppo psico-affettivo.
Ma cosa accade quando un evento improvviso, come una pandemia, scippa questo luogo? Accade che i ragazzi scoprono, improvvisamente e drammaticamente, la sua valenza e quanto esso sia parte di loro. Cioè che quel luogo, giorno dopo giorno, silenziosamente, è diventato parte della loro identità, un’identità di luogo, in cui rientrano quegli ambienti significativi che ora, d’un tratto, non ci sono più, senza sapere fino a quando. La rottura del legame di attaccamento con quel luogo porta con sé una quota di lutto da elaborare, con tutti i correlati emotivi ad esso associati: tristezza, rabbia, stress.
Inoltre, questo furto sottrae quel potente “trampolino di lancio” in chiave di uno sviluppo che avviene nella sistole-diastole tra ambiente “primario” e “secondario”.
Perché, se la socializzazione ci è restituita in parte dai Social e la didattica ci è restituita in parte dalla DAD, quel luogo-scuola, quell’aula, quel banco, quei corridoi, palcoscenico silenzioso di passi di crescita, non si possono digitalizzare, se non facendoli diventare un museo virtuale. Abitare e digitale: quale coniugazione ottimale?
(Per approfondire: Tredimensioni 3-2021)
Alessandro DE MICHELE, Docente