Cento anni fa nasceva James Montgomery Doohan, attore canadese famoso per aver interpretato nella serie classica di Star Trek l’ingegnere scozzese Montgomery Scott.
Chi da ragazzino era appassionato della serie non dimenticherà che Scotty è l’ufficiale ingegnere capo dell’astronave Enterprise, scelto per la sua capacità di effettuare complicate riparazioni in tempi brevissimi: era l’uomo dei miracoli. Molti episodi, conclusi con l’immancabile happy end per la compagine del capitano Kirk, terminavano con le parole del titolo: «Energia dott. Scott!», e via verso nuove avventure.c
Di energia e di ingegneri dei miracoli avrebbe bisogno sempre di più la rivoluzione tecnologica. Super computer, reti, gestione dei big data e dei loro algoritmi, e soprattutto sistemi di blockchain (tecnologia in grado di registrare scambi e informazioni in modo sicuro e permanente, mediante la condivisione di un database), assorbono quantità enormi di energia.
È stato calcolato che per effettuare una sola singola transazione di bitcoin è necessaria l’elettricità che alimenta una casa per un mese, mentre l’estrazione dei bitcoin, a oggi, pesa in termini energetici più di una nazione delle dimensioni dell’Irlanda.
Questa voracità energetica porterà secondo l’Agenzia internazionale dell’energia entro quest’anno il settore globale delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) a rappresentare il 3,5% delle emissioni globali. Un problema finanziario, ma soprattutto un problema ambientale.
Correre ai ripari: energie rinnovabili, ma non solo…
I giganti del digitale corrono ai ripari sia cercando di rendere più performanti i loro sistemi, sia con operazioni tecniche tanto d’immagine quanto di ritorno economico effettivo: già dal 2018 i data center di Apple, ad esempio, sono alimentati al 100% da fonti rinnovabili.
Produrre più energia rinnovabile, rendere più performanti i sistemi e l’efficientamento sono certamente strade da seguire, ma resta importante la migliore tra tutte, quella culturale. Come ci ricorda l’enciclica Laudato si’:
«non si può pensare di sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perché oggi il paradigma tecnocratico è diventato così dominante, che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora più difficile è utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. (…) Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica. Si riducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui» (n. 108).
La questione primaria non è se si possa tecnicamente fare o come trovare l’energia pulita per farlo, la questione primaria è se fare ha uno scopo reale, buono, antropico con un fine che non sia la mera fattibilità concreta.
Il punto è semplice, appare addirittura semplicistico, ma la digitalizzazione della vita, la sensazione che poco o nulla abbiamo ormai un costo, ci induce a pensare che molte delle nostre azioni non abbiano conseguenze, e il nostro giudizio morale spiccio si ferma al prosaico «che male c’è?».
Perlomeno al cristiano oggi si dovrebbe riproporre la domanda sul bene, la ricerca del bene maggiore e non la semplice fuga nel male minore. Riproporre ai giovani l’uomo cavalleresco di cui scriveva Guardini non faccia sorridere: abbiamo bisogno di semplici nobili gesti perché, come scrive il papa:
«queste azioni non risolvono i problemi globali, ma confermano che l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente. Essendo stato creato per amare, in mezzo ai suoi limiti germogliano inevitabilmente gesti di generosità, solidarietà e cura» (n. 58).
«Dottor Scott, energia!»… ma con parsimonia e intelligenza.
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