Abitare il digitale sì, ma con linguaggi che siano nuovi

In questi mesi ho sentito dire “la Chiesa ha (ri)scoperto il web grazie alla pandemia”. In parte mi viene da sorridere, specialmente quando sento pronunciare espressioni come “questa cosa nuova di internet”… nel 2021 (sic!). Queste affermazioni che avevano senso nel 1995 quando da studente ero uno degli unici due in tutto il mio liceo scientifico statale ad avere un account e-mail. Ma in realtà queste espressioni nascondono alcune verità. Infatti, pur avendo a disposizione modalità nuove e più efficienti per comunicare ed organizzare la vita pastorale, in questi decenni abbiamo proseguito, nella maggior parte dei nostri ambiti, ignorandole quasi totalmente. A parte un picco di interesse avuto ad inizio anni 2000, nel periodo successivo la presenza ecclesiale sul web, specialmente da parte delle comunità parrocchiali, si è ridotta nel migliore dei casi alla creazione di siti web poco aggiornati, con qualche avviso, gli orari delle celebrazioni e i riferimenti di contatto, spesso obsoleti. Un secondo timido risveglio c’è stato qualche anno fa con le comunità che hanno iniziato a muoversi sui social, ma anche qui la modalità spesso è stata quella di riportare sui social le medesime cose del sito web…il bollettino parrocchiale, qualche foto, i più smaliziati qualche video… tutto qui. Non sono mancati casi virtuosi, con siti che hanno anche offerto un accompagnamento personale, ma sono pochi in rapporto al totale. In questo senso possiamo parlare di questa “cosa nuova”, nuova semplicemente perché finora mai utilizzata in pienezza, nuova non inteso come novità ma come quelle cose comprate e lasciate sullo scaffale a prendere polvere per tanto tempo e poi all’improvviso riscoperte.

Con questa pandemia in corso cosa è successo? Abbiamo finalmente iniziato ad utilizzare gli strumenti di comunicazione per una vera pastorale, per un vero apostolato, digitale? In parte mi pare di poter dire di sì, in larga parte tragicamente no. Abbiamo sicuramente iniziato a servirci di questi mezzi per tenere attive alcune attività pastorali, con qualche scivolone e qualche imprudenza, ma ancora abbiamo un immenso potenziale inespresso. Il solo fatto di usare uno strumento non implica immediatamente un utilizzo corretto. Posso ad esempio usare un martello per piantare un chiodo o per rompere un vetro, perfino per pestare una bistecca se voglio… sto “usando” lo strumento in tutti questi casi ma non sempre sono casi di uso proficuo o efficace. Abbiamo assistito ad uno sfruttamento degli strumenti digitali, spesso riducendo il tutto alla sola ripresa live di un evento per sopperire alla mancata presenza fisica. Abbiamo in ampia parte continuato a rivolgerci sempre ai “nostri” proponendo le “cose di sempre”, solo con una copertina differente. In tanta della attuale pastorale digitale delle nostre comunità fatico purtroppo a vedere la “Chiesa in uscita”, il desiderio di percorrere le vie dell’umano per annunciare il Vangelo. Ancora mi pare che fatichiamo nell’abitare questi luoghi, nei quali transita molto del vissuto quotidiano dei nostri contemporanei, vedendoli come luoghi di annuncio.

Sarebbe interessante invece proporre alcuni elementi del nostro cammino di fede con linguaggi nuovi. Perché non coniugare testimonianza e storytelling con dei videoblog che raccontino le diverse esperienze quotidiane di vita cristiana? Perché non rendere ragione della nostra fede attraverso degli interessanti, sebbene impegnativi, Q&A sui social? E cosa dire di un azzardato tentativo di formazione, magari sull’onda di un “tutto quanto avreste voluto sapere su Dio e non avete mai osato chiedere?”. Ovviamente sono provocazioni, ma penso che con fantasia potremmo avere il coraggio di un autentico apostolato sul web. San Paolo nell’Areopago ha preso la parola, in mezzo a persone che erano lì unicamente per il gusto di “parlare e sentir parlare”. Non ha ricevuto consensi unanimi, si è preso anche qualche fischio, ma ha osato, e lo ha fatto partendo proprio dalla realtà in cui era inserito. Avremo anche noi il medesimo coraggio?

 

Don Luca FOSSATI, Collaboratore Ufficio Comunicazioni Sociali – Arcidiocesi di Milano

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