Nella cultura classica greca, gli dei precipitavano nell’abisso della dismisura coloro che volevano perdere e dannare. La hybris greca era la tracotanza, l’eccesso, la moderna dismisura nell’essere e dell’apparire più di quello che si può e si deve essere: più belli, più forti, più potenti, più ricchi, più famosi. Chi cadeva nella dismisura era un pericolo per l’intera città, poiché scatenava l’invidia e le divisioni.
Le società moderne sono entrate nel ventesimo secolo prima con i totalitarismi e poi con il trionfo delle tecnoscienze e del capitalismo finanziario guidato da una logica di assoluta illimitatezza. Più nessun limite né all’arricchimento materiale, né alle invenzioni tecniche, né allo stravolgimento di tulle le norme morali ereditate. Avvenne una furia storica nell’accelerazione della tecnica, dei mass-media, della costruzione di imperi, degli archivi, dell’ascesi. La sola cosa valorizzata era il movimento ininterrotto di trasgressione dì tutti i limiti immaginabili.
La grande sfida del futuro sarà quella di sapere se l’umanità saprà dominare il proprio dominio, cioè di limitare l’illimitatezza. In età moderna i miti della hybris sfoceranno in racconti come quello di Frankenstein, appartenente alla cultura tedesca, nel quale il mostro da lui creato con parti del corpo di cadaveri e poi riportato in vita, non solo rappresenta in sé un atto di superbia ma, liberatosi dal controllo del suo creatore sarà causa di sconvolgimento nel mondo. Lo stesso tema apparirà sotto diversa forma nell’ambito dell’ecologia moderna con la questione dei prodotti creati in laboratorio dall’uomo che possono sfuggire al controllo del loro creatore, provocando contaminazioni e danni imprevedibili all’intero ecosistema.
Oggi la pandemia Covid19 ripropone in nuove forme i pericoli della hybris nella scienza, nella tecnica, nei diritti individuali e chiede alle creature di saper restare al proprio posto. E molti ripetono – giustamente – che il solo modo di non cadere nella barbarie della dismisura è il prendersi cura dell’altro, di tutte le creature.
Luigi BERZANO, Università di Torino