“È davvero così difficile credere che alla fine riusciremo ad accendere la scintilla dell’intelligenza in una macchina e a fare in modo che aumenti, così come siamo riusciti a ricreare con l’ingegneria inversa una versione tutta nostra delle caratteristiche più utili degli oggetti naturali, per esempio dei cavalli e dei ragni che tessono la tela”, dice Michael Anissimov, Media Director del Machine Intelligence Research Institute di Berkeley. In realtà, a pensarci bene, anche il nostro cervello è un oggetto tutto naturale.
La biotecnologia è una scienza che studia le tecnologie applicate alla vita. L’Intelligenza Artificiale (AI) è l’abilità di una macchina di svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana. Partendo dalle loro definizioni, è evidente che il rapporto tra AI e biotecnologia sia estremamente delicato e destinato a sfiorare temi profondamente importanti come l’identità e la natura dell’essere umano. Gli algoritmi che intervengo sulla vita dell’uomo determinano ed influenzano i comportamenti umani, condizionando spesso le loro scelte. Questo scenario incisivo e rivoluzionario potrebbe quindi ridefinire il nostro posto nell’universo e il futuro della stessa natura umana.
Non c’è dubbio che la combinazione tra AI e biotecnologia possa produrre innumerevoli vantaggi, ad esempio nella medicina di precisione, nella scoperta di nuovi farmaci, nella cura e prevenzione delle malattie, nel rendere maggiormente efficiente il sistema di salute pubblica. L’applicazione dell’Intelligenza Artificiale alla genetica, alla genomica e la bioinformatica potrebbero far diventare la scienza della vita una delle colonne portanti della prossima rivoluzione industriale. Tuttavia nuovi opportunità presentano nuovi rischi e diviene di importanza cruciale riflettere e comprendere quali siano i potenziali rischi connessi a tale scenario evolutivo; rischi che vanno da quelli più attuali ed effettivamente percepiti, come l’interferenza con la riservatezza degli individui, ad altri che potrebbero sembrarci al momento lontani e distopici, ma sui quali è opportuno avviare sin d’ora una riflessione: sono infatti molti gli studiosi che si sono interrogati sul tema della super intelligenza e della singolarità.
Teilhard de Chardin, gesuita e filosofo francese, è stato forse il primo a parlare di super intelligenza agli inizi del ‘900, teorizzando il raggiungimento del “punto omega”, il massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale l’universo tende nella sua evoluzione, descritto come il momento in cui la sfera dello spirito passa ad una sfera in cui tutte le intelligenze umane sono connesse.
Noi oggi, a distanza di più di un secolo, stiamo costruendo qualcosa di molto simile, vale a dire un mondo in cui siamo tutti pienamente connessi. È stato Nick Bostrom, nel suo best seller “Superintelligenza” a definire in epoca più recente la super intelligenza come un sistema che sa fare tutto ciò che può fare un intelletto umano, ma molto più velocemente e in modo qualitativamente migliore. Al momento una buona fetta di scienziati ritiene che questo evento possa realizzarsi tra 80 anni, per una minoranza (il 10%), invece, già entro i prossimi 10 anni. Ciò non è difficile da credere se pensiamo che lo stesso Stephen Hawking ci ha più volte ricordato che “A differenza del nostro intelletto, i computer duplicano le proprie capacità ogni 18 mesi, per cui esiste il pericolo concreto che sviluppino l’intelligenza e conquistino il mondo”.
L’ulteriore rischio più attuale e anche al centro dei recenti dibattiti dell’opinione pubblica nel periodo di emergenza pandemica è quello del trattamento dei dati personali che, in questo settore, più che in altri, interessa particolari categorie di dati personali, ossia i dati relativi alla salute e i dati genetici. Tali tipologie di dati, già per loro natura, possono essere trattati solo al sussistere di determinate e rigide condizioni, proprio perché in grado di rivelare lo stato di salute dell’interessato e perché (nel caso dei dati genetici) permettono l’identificazione certa di una persona; se a ciò aggiungiamo il fatto che vengono trattati ed elaborati da macchine e che entrano in tal modo nei processi di elaborazione, clusterizzazione e classificazione, sfuggendo al controllo dell’interessato, si comprende bene come lo scenario di rischio aumenti drasticamente.
Rischi, ma anche benefici… lo stesso papa Francesco nell’enciclica Laudato sì ha sostenuto che: “La tecnoscienza, ben orientata (…) è anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. […] Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere […]. A tal fine occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome”.
Rosanna CELELLA, Università Europea di Roma