Nel suo ultimo libro di filosofia della “rivoluzione digitale” (Pensare l’infosfera. La filosofia come design
concettuale, Raffaello Cortina, Milano 2020), Luciano Floridi pone alcuni punti come fondamentali per
sviluppare una buona filosofia della rivoluzione digitale: ad esempio, per Floridi solo una nuova
antropologia filosofica può porre le domande filosofiche giuste riguardo alla rivoluzione digitale; e, solo
sulla sua base, si può sviluppare una filosofia dell’informazione che sia in grado di dare senso al mondo
contemporaneo. Assunti ambiziosi, senz’altro, basati su una disamina di che cosa si possa considerare come
una buona “domanda filosofica”, della quale Floridi indica, come primo carattere, l’essere aperta: ovvero,
una vera domanda filosofica accetta sempre risposte che, sebbene tutte razionali, oneste e informate,
possono essere in disaccordo tra loro; quindi, non c’è osservazione empirica o calcolo in
grado di chiudere per sempre la partita di una vera domanda filosofica. Questa allora è tanto migliore
quanto più sa suscitare risposte legittimamente discordanti, e il fatto che non esista un’unica risposta valida
non significa che la domanda non abbia senso. Anzi.
Però, non è la filosofia moderna, ma quella del Medioevo ad avere inventato la quaestio, la disputa in cui
maestri e allievi delle neonate università venivano messi di fronte ad un problema filosofico, che andava
risolta attraverso l’apporto di diverse, discordanti e tutte lecite ragioni pro e contro. E la soluzione del
maestro, conclusa la disputa, poteva venire poi a sua volta ridiscussa e dibattuta e questa possibilità non
era segno della pochezza del maestro che l’aveva proposta, semmai della sua importanza: più un maestro
era influente e famoso, più le sue determinationes diventavano oggetto di altre dispute, e così via, in una
circolazione di idee di portata sempre più ampia. Certo, poi un Petrarca protestava, trovava che tutto il gran
disputare di filosofi e teologi fosse diventato sterile, lontano dai problemi veri e reali della filosofia,
incomprensibile ai più e soprattutto a chi non facesse parte del mondo accademico. E non aveva tutti i torti,
però gli sfuggiva – perché Petrarca era un grande letterato, non un filosofo – l’aspetto buono e fecondo di
tutto questo: la filosofia che i medievali cercavano di fare, e tanto più hanno fatto quanto più il Medioevo è
proceduto nel tempo, era una filosofia sempre aperta alla discussione, sempre intenta alla ricerca di una
verità che ha tanti punti di vista, non uno solo. Altro che dogmatismo e principio di autorità: un infinito
cercare risposte razionali nuove e più penetranti, senza paura di criticare e criticarsi.
Che cosa, mi verrebbe da dire, di più interessante e vero anche oggi per chi ami la filosofia? Ne sono
convinto: il Medioevo filosofico, da questo punto di vista, di metodo, di prospettiva, di convinzione sul
grande valore della ricerca razionale, di ostinazione nell’interrogarsi fino all’estremo limite del pensabile (il
tanto frainteso “argomento ontologico” insegna…), ha molto ancora da insegnarci. Pensiamo per esempio
alla lunga e tecnica disputa sull’anima umana come forma unica del composto di anima e corpo, generata sì
dalla peculiarità dell’aristotelismo di Tommaso, ma con una posta in gioco enorme. E cioè: si può essere un
individuo umano senza sentirsi uno in tutte le proprie diverse manifestazioni ed attività? E ci si può sentire
unitari solo come un corpo che appesantisce un’anima oppure come un’anima ospitata da un corpo, o non
piuttosto come una vera e radicale unità psicosomatica? É un problema ancora per Kant, e quanta
psicologia ci si è interrogata. Quindi questa, e tante altre, non sono anticaglie da archeologia del pensiero:
sono problemi coi quali abbiamo ancora, e penso che avremo sempre, a che fare. E avere idee
minimamente chiare su che cos’è un essere umano, aggiungo concordando con Floridi, è ancora
fondamentale oggi per decidere come, quanto, se, in che ambiti, con che scopi, con che limiti, un uomo
possa e debba relazionarsi con l’universo dell’intelligenza artificiale.
Amos CORBINI, Università degli Studi di Torino
(Quaestiones Digitales 1. continua)