Quale spiritualità nelle tecnologie?

Un rapporto fra «fede e tecnologia», in questo caso quella delle nuove tecnologie, non può consistere solo nel denunciare i pericoli, nel mettere in guardia. Mi pare più importante, o per lo meno altrettanto importante, il tentare di capire come la tecnologia può essere strumento di avvicinamento alla fede, strumento di maggior umanizzazione della società. Ecco un primo fondamentale dato della spiritualità per le nuove tecnologie: spiritualità di servizio e, soprattutto, di servizio ai più deboli.

Allora un avvicinarsi al computer estremamente propositivo, quasi aggressivo, per dilatare le frontiere del servizio e dell’amore quotidiano. Ecco poi una seconda linea della spiritualità. È la spiritualità della conoscenza che mira al prossimo: la ricerca del bene attraverso l’informazione che esso accumula; la messa a disposizione dei dati utili al servizio. Ma vi è anche la spiritualità della meditazione: diretta e indiretta. Diretta perché può fornire elementi di meditazione aggiornati e conosciuti in tempi reali, contatti con altri che sono impegnati nella perenne ricerca della fede. Indiretta perché permette all’uomo di utilizzare i tempi liberi che, inevitabilmente, aumenteranno, per pensare, meditare, capire, interrogarsi sulla vita e sul mondo.

Su questo punto bisognerà condurre una dura batta- glia: bisognerà combattere la tendenza all’evasione, al piacere per il piacere, alla noia, fornendo strumenti di spiritualità, rendendo accettabile da tutti il problema del pensare, il valore del pensare, la ricerca dei perché. È battaglia culturale, di comportamenti, di valori: ma non è tale tutto il cristianesimo? Una quarta linea di spiritualità sembra essere quasi connaturata con l’uso del computer: è quella della ricerca della verità del mondo, della scoperta e della gestione delle cose che ci circondano. Una quinta linea sembra quella di rinforzare una delle caratteristiche dell’uomo: la sua socialità. In una visione propositiva il computer (e gli altri strumenti telematici, televisivi, ecc.) sono elementi di collegamento; possono essere studiati e impiega- ti per avvicinare popoli e persone; possono ridurre le solitudini, se saremo capaci di innescare una forte cultura della solidarietà, della ricerca degli altri, per dialogare, per socializzare, per condividere.

È la cultura delle partecipazioni che deve essere affiancata al computer. Una sesta linea è quella, già in parte richiamata, del- la responsabilizzazione: la società del computer deve allontanarsi dalla delega deresponsabilizzante, dal garantismo a tutti i costi. Possedere informazioni, avere strumenti che permettono la diffusione dei problemi con immediatezza, porta a chiedere un maggior uso delle proprie capacità, a chiedere che la propria libertà di scelta venga sollecitata e usata: e che cosa c’è di più umanizzante se non l’uso responsabile della propria libertà? Una settima linea di spiritualità è quella dell’umiltà perché le cose che veniamo a conoscere sono tante da spaventarci, quasi, da farci capire come il mondo è infinitamente vario, capace di stupirci e di farci ritrovare in esso la mano e il segno di Dio.

Infine, come ottava linea, si può indicare quella del distacco dalle cose, dalla volontà di potere, dalla cultura del puro «avere». In effetti, soddisfatti i bisogni essenziali della sopravvivenza, i motivi della lotta per possedere diminuiscono notevolmente, anche se il consumismo sembra dire il contrario. Il computer (le nuove tecnologie) possono aiutare in questa direzione, proprio perché possono aiutare ad essere più tranquilli sul piano materiale. È una serie di appunti per una spiritualità dell’era delle nuove tecnologie sufficientemente ampia e approfondita? Certamente no: è un piccolo tentativo che vorremmo ampliato, criticato, corretto, dai teologi, dagli uomini spirituali, da tutti i lettori perché si possa costruire con i computer e non solo difendersi.

Giorgio CERAGIOLI

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